Il Corriere del Veneto. L’anatema, quello che scardina alibi e credenze popolari, è già alla prima riga. Quella che recita: «Sempre più stabile e radicata appare secondo le attuali risultanze investigative la presenza di strutture mafiose nel Veneto». Parole, «stabile» e «radicata», che inchiodano una situazione in cui le «infiltrazioni» sono ormai surclassate da penetrazioni che hanno i crismi del consolidamento.
È la relazione «sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla direzione investigativa antimafia», presentata in Senato e riferita agli ultimi sei mesi dello scorso anno, a descrivere come il Veneto non sia più, per la criminalità organizzata, «terra di conquista», ma area d’affari. «Affiliata» sia con i metodi tipici della malavita – dall’estorsione all’usura, dal giro di fatture false alle intimidazioni – ma anche con la compiacenza di quella che nella relazione viene definita «imprenditoria rapace». Quella che, sull’altare dei soldi facili, non disdegna non solo di far pastette con le varie mafie ma ne diventa parte attiva. Di tutte le mafie. Perché l’altro dato che emerge dalla relazione della Dia è che in Veneto sono presenti tutte le strutture criminali. A spiegarlo, nella relazione, il procuratore della Dia di Venezia Bruno Cerchi che ha evidenziato come per quanto riguarda la «criminalità organizzata di stampo mafioso nella Regione Veneto si può motivatamente affermare che da tempo vi è un rilevante radicamento soprattutto di locali ndranghetiste (una struttura di coordinamento delle ‘Ndrine che necessita però di almeno 49 affiliati per essere costituita, ndr ) , ma anche di gruppi camorristici e di mafie straniere, in particolari albanesi e nigeriane con differenti vocazioni delinquenziali e diverse modalità organizzative. Le prime sono interessate all’infiltrazione nell’economia locale, notoriamente ricca, sfruttando talvolta le difficoltà di imprese o attività minori e talaltra la predisposizione di qualche imprenditore locale all’emissione e all’uso di fatture per operazioni inesistenti con finalità di sottrazione agli obblighi contributivi. Le organizzazioni criminali straniere soprattutto allo spaccio di sostanze stupefacenti».
Snocciola le decine di operazioni che lo hanno dimostrato, la relazione della direzione distrettuale antimafia. Con attività più redditizie di altre. Vedi quello smaltimento illecito di rifiuti che, si legge, «rientra tra i settori economici che nell’emergenza Covid non hanno subito contrazione e che potrebbe tra l’altro risultare funzionale al reinvestimento di denaro illecito». Con condanne che hanno dimostrato come «funzionali all’infiltrazione della consorteria nel tessuto economico sono risultate le relazioni intessute con i politici locali e gli appartenenti ad altre Istituzioni». Rimbombano, nella relazione della Dia, altre parole del procuratore Cherchi: «Tutta la regione, da est ad ovest, ha una presenza articolata e radicata nella struttura sociale della criminalità organizzata che passa soprattutto dalla ‘ndrangheta, ma che è rappresentata da tutte le organizzazioni…». E la chiusa, che annulla gli alibi e fa da monito. «Non è più il caso di parlare di infiltrazioni ma di ormai forte radicamento delle organizzazioni criminali. Non è più un grido di allarme ma l’evidenziazione di un sistema che è presente ed è finalmente noto alle cronache giudiziarie».