di T.Fritteli, M.Hazan, G.P.Macrì. Sarebbe gravissimo se, anziché concentrarci sulla costruzione e reingegnerizzazione del sistema, ci dovessimo concentrare su ipotesi difensive che controbilanciassero le nuove risorse in arrivo. Federsanità presenterà nei prossimi giorni una richiesta al Governo e agli organismi comunitari, affinché valutino l’ipotesi di un intervento comunitario e di un disegno di legge in tal senso
Gli scenari, drammatici, spalancati dal Covid 19 hanno messo a dura prova la tenuta del nostro sistema sanitario, ingenerando in tutti una rinnovata consapevolezza dei propri ruoli non solo professionali ma di cittadini di uno Stato sociale di cui strutture sanitarie, medici e operatori tutti della sanità costituiscono perno e fondamenta.
Si sente viva, oggi più che mai, la necessità di riportare il concetto di “salute” entro un perimetro meno egoistico, sviluppato non solo lungo le direttrici delle tutele e dei diritti assoluti ma anche nell’ambito dei doveri inderogabili di cooperazione e mutuo sostegno. Le tematiche inerenti i vaccini – a scavalco tra la “mancata” introduzione di un vero e proprio obbligo e il dovere morale di vaccinarsi – costituiscono un esempio eclatante della necessità di armonizzare, all’interno del sistema sanitario nazionale, i diritti fondamentali dei cittadini con i doveri degli stessi di cooperare per la tutela della salute di ognuno e di tutti.
In questi scenari emergenziali deve soprattutto ritrovare piena affermazione quel modello di “sanità responsabile” disegnato dalla legge 24/2017 (cd Legge Gelli), modello fondato sui valori della prevenzione del rischio e della sicurezza delle cure, anche al al fine di porre un argine ad una conflittualità nefasta di cui, a maggior ragione in tempo di crisi, davvero non si sente bisogno.
Ciò accade durante l’emergenza del Covid 19; situazione che ha anticipato i “tempi di gioco”, obbligando sovente a rincorrere ciò che non si è riusciti a prevenire e imponendo di lavorare nella più incerta alea. I professionisti e gli esercenti le professioni sanitarie così come i dirigenti delle aziende sanitarie, si trovano e si troveranno a fronteggiare le esigenze di individuare regole cautelari e di esperienza in situazioni che sfuggono ad ogni regola ed ad ogni esperienza. Ed è proprio là, dove si richiede il massimo impegno e uno sforzo strenuo per superare l’emergenza, che si pongono le maggiori esigenze di tutela di coloro i quali talvolta mettono in gioco la loro stessa vita, per farsi carico delle più drammatiche situazioni d’urgenza.
L’esperienza del Covid 19, che tutt’ora stiamo vivendo con apprensione, pone fortemente l’esigenza di adattare i principi razionali che stanno alla base della legge 24/2017 a tutte le situazioni eccezionali di carattere emergenziale, in cui è il concetto stesso di “emergenza” a marcare la differenza, rendendo talvolta difficili anche le cose facili e ponendo in connessione la colpa grave e la regola di responsabilità prevista dall’art 2236 c.c., con le difficoltà endemiche di una urgenza terapeutica e assistenziale che, come nel caso del Covid 19, deve essere sostenuta con forza e coraggio, senza correre il rischio di essere mortificata dal timore di ingiuste conflittualità, di accuse o richieste risarcitorie.
Non si tratta di porre scudi o di deresponsabilizzare gli operatori sanitari e le strutture di fronte ai possibili danni patiti dai pazienti (o dagli stessi operatori) durante l’emergenza. Ma di strutturare una regola che calibri opportunamente il limite della responsabilità emergenziale, tenendo conto delle difficoltà e della straordinarietà del contesto in cui il sistema sanitario ed i propri operatori sono chiamati e (costretti) ad operare. Un troppo disinvolto e distorto ricorso alla leva della tutela giudiziale – assai possibile in tempi di crisi – costituirebbe – oggi, come in altri simili contesti emergenziali – un peso economico e morale insostenibile per il sistema sanitario e, diremmo, per l’intero sistema paese.
Se, come è facilmente prevedibile alla pandemia virale conseguirà una endemia giudiziaria non solo il sistema sanitario ma anche e segnatamente quello giudiziario entreranno in crisi disgregando ogni forma di coesione sociale e mettendo in crisi le funzioni primarie dello Stato. Vogliamo qui, inoltre, solamente prospettare le conseguenze economico-finanziarie di una endemia giudiziaria covid correlata. Si rende pertanto necessario e già si prospetta come indifferibile l’intervento del Legislatore che completi la normativa emergenziale con gli aspetti civilistici, risarcitori e/o indennitari, affiancando tali nuove norme alle già editate disposizioni penali in materia.
Anche in altri ordinamenti, del resto, si è ritenuto opportuno intervenire con norme ad hoc per introdurre ponderate, e non troppo generalizzate, limitazioni di responsabilità (immunity from tort liability) per gli operatori sanitari e gli enti stessi che si trovino a prestare la propria attività nelle situazioni di emergenza. Si pensi ad esempio ai medici di medicina generale che potrebbero, dopo essere stati “scudati” in ambito penale vedersi notificare richieste risarcitorie dirette o indirette. Chi scrive e molti altri, sulla base di tali riflessioni, sin dai primordi dell’ondata pandemica si sono attivati nel senso indicato.
Il Legislatore ha recepito solo in parte tali istanze dando alla luce i così detti “scudi penali”; il primo (art 3 DL 44/2021) volto a limitare la responsabilità penale dei sanitari impegnati nella campagna vaccinale, il secondo (art 3 bis DL 44/2021) più generalmente esteso alle “responsabilità colpose per morte o lesioni personali in ambito sanitario durante lo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19. Quest’ultima disposizione specifica che i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza da Covid, sono punibili solo nei casi di colpa grave.
Ed ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice deve tener conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza.
Tale disposizione ha molti pregi e qualche limite. Il pregio principale sta nel dar atto della consapevolezza, da parte del nostro legislatore, della necessità di offrire ai sanitari una protezione – sul piano della difesa legale – adeguata alla eccezionalità della situazione in cui si sono trovato a fronteggiare il Covid. Il che corrobora, in termini lati, il concetto della limitazione della responsabilità in caso di emergenza pandemica. Purtroppo tale limitazione vale solo per i casi di omicidio o lesioni personali e solo in ambito penale, non interessando altri tipi di reati e, soprattutto, lasciando intoccato il delicato tema delle responsabilità civili.
Quelle che, più di altre, potrebbero essere azionate per ottenere risarcimenti correlati al Covid. Non solo, riguarda i fatti commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e dunque non tocca tutte le fattispecie che non riguardano attività propriamente medico/sanitarie, lasciando perciò fuori dal perimetro dello scudo tutte quelle attività di carattere organizzativo/preventivo messe in atto, tra le infinite difficoltà dell’emergenza, dai dirigenti delle aziende sanitarie. Il che porta poi a considerare, sul piano delle responsabilità civile, la necessità di adottare analoghe cautele e protezioni anche per le strutture sanitarie, pubbliche e private.
Queste ultime, infatti, rischiano, a maggior ragione dopo l’introduzione dello scudo penale per i professionisti della sanità, di diventare il terminale naturale, e quasi automatico, delle richieste risarcitorie Covid correlate. Il che pare incongruo ed ingiusto, posto che, anche per il disposto della legge Gelli, le responsabilità organizzative nella gestione e prevenzione del rischio sono pur sempre colpose e mai oggettive.
In sintesi, occorre adoperarsi con forza per completare lo sforzo del Legislatore in ambito emergenziale con la produzione di norme che valorizzino, anche in ambito civilistico, quei principi e quelle forme di limitazione delle responsabilità, già espressi in sede penale.
A tal fine, si riporta, qui di seguito, una proposta che integra opportunamente, in ambito civilistico, le previsioni di cui agli artt. 3 e 3 bis del DL 44/2021.
Si pone, in ogni caso, l’esigenza di considerare anche i diritti delle vittime primarie e secondarie del Covid, in tutti i casi in cui i danni da loro patiti siano riconducibili a responsabilità non gravi, e dunque non imputabili a sanitari o alle strutture.
Al riguardo, la normativa potrebbe esser completata seguendo l’esempio francese della Loi Kouchner, del 4 marzo 2002, antesignana della legge Gelli e relativa ai “diritti dei malati ed alla qualità del sistema sanitario”. Tale norma ha dato vita ad un sistema pubblico volto a gestire in ottica non contenziosa le richieste di risarcimento per casi di errore medico o di danno correlato all’attività sanitaria, anche a seguito di infezioni nosocomiali, attraverso l’istituzione di un Ufficio Nazionale di Indennizzo (l’ONIAM) e di una serie di Commissioni di Conciliazione (CCI) distribuite sul territorio nazionale.
Viene prevista una procedura – non obbligatoria per il danneggiato ma estremamente efficace, perché rapida e gratuita – volta a verificare se il danno sia riconducibile ad una responsabilità della struttura o del medico o se sia invece dipeso da una complicanza inevitabile o imprevedibile o comunque rientri tra le conseguenze connaturate ad un alea terapeutica che mai potrà essere esclusa, anche laddove tutte le linee guida o le buone pratiche siano state correttamente seguite.
Il sistema francese filtra dunque le richieste, valutandone la fondatezza anche in termini di nesso di causa e da corso alla formulazione di offerte di vero e proprio risarcimento (con il coinvolgimento degli assicuratori) in caso di conclamata responsabilità oppure di indennizzo in tutti i casi i cui il danno rientri, appunto, nell’ambito dell’alea terapeutica. La Loi Kouchner affida alla medesima organizzazione anche il riconoscimento di indennizzi in favore di coloro che abbiano subito nocumento in contesti emergenziali, spostando il fuoco dei risarcimenti dal campo della responsabilità (non agevolmente dimostrabile) a quello della solidarietà.
L’esempio francese parrebbe estremamente ed utilmente adattabile alle nostre realtà sanitaria e giuridica (non solo in contesti emergenziali e pandemici) demandando ad un ente pubblico il compito di prendere in carico le richieste di risarcimento covid correlate, e di gestirle alla stregua di una specie di assicuratore sociale, a cui sarebbe affidato il compito di vagliare le richieste risarcitorie, agevolandone la definizione bonaria e determinando se i casi rientrino, o meno, nel quadro di condotte di responsabilità gravi – foriere di veri e propri risarcimenti, anticipati dall’ente con diritto di rivalsa sulle strutture responsabili e i loro assicuratori – oppure non gravi, nel qual caso si dovrebbe pensare a un indennizzo posto a carico dell’ente senza diritto di rivalsa. Salvo negare il ristoro ogni qualvolta il nocumento non sia riconducibile ad alcuna responsabilità sanitaria.
Un sistema di tal tipo, e l’istituzione di un organismo capace di prendere in carico e gestire i danni da Covid, completerebbe dunque la normativa civilistica emergenziale, consentendo indennizzi forfettari ai danneggiati in tutti i casi in cui la colpa medica o sanitaria non sia grave e dunque non dia luogo a responsabilità risarcitorie. Ferma restando la possibilità, per il paziente o – in caso di decesso – dei suoi aventi causa di non accettare il responso delle Commissioni di conciliazioni e di agire in giudizio (questa volta a proprie spese) per ottenere la declaratoria di colpa grave ed ottenere il risarcimento pieno dei danni patiti.
Un processo così strutturato, ricordando intervento di un assicuratore sociale, potrebbe ad esempio esser realizzato in seno ad INAIL, completando così in modo armonico ed equilibrato l’introduzione del nuovo “scudo” emergenziale sulle responsabilità civili. Il tutto ponendo le basi per una più generale riforma dell’intero sistema delle responsabilità mediche, non soltanto in contesti pandemici o di emergenza, ma per tutte le ipotesi di alea terapeutica. Da comprendere se il nuovo processo possa anche occuparsi, come accade in Francia, dei danni correlati alla somministrazione dei vaccini, oggi regolata dal sistema indennitario istituito, a carico dello Stato, dalla legge 210/92.
In sintesi e concludendo, la proposta che si vorrebbe sostenere dovrà estendere all’ambito civilistico le limitazioni riconosciute in sede emergenziale dalle recenti specifiche norme penali creando un sistema ed organismi di gestione dell’alea terapeutica ed assistenziale, anche attraverso meccanismi indennitari, nell’ambito di una politica comune europea, visto il perimetro delle crisi emergenziali che travalicano i confini nazionali.
Una svolta in tal senso eviterebbe un potenziale default economico a carico delle strutture e una inflazione giudiziaria che peserebbe pesantemente sull’ordinaria attività del mondo sanitario, che sarà impegnato in una difficile e sfidante ricostruzione, con i fondi del PNRR. Sarebbe gravissimo se, anziché concentrarci sulla costruzione e reingegnerizzazione del sistema, ci dovessimo concentrare su ipotesi difensive che controbilanciassero le nuove risorse in arrivo.
Federsanità presenterà nei prossimi giorni una richiesta al Governo e agli organismi comunitari, affinché valutino l’ipotesi di un intervento comunitario e di un disegno di legge in tal senso.
Tiziana Frittelli
Presidente di Federsanità
Maurizio Hazan
Managing Partner Studio legale Taurini-Hazan
Giuseppe Pasquale Macrì
Segretario Nazionale Melco
Quotidiano sanita
20 settembre 2021