di Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore sanità. Più volte su questo sito ho parlato della questione dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario. A cinque mesi dall’adozione del decreto 44/2021 si può provare a tirare le somme della lunga e contorta procedura attivata da aprile. Alcuni giorni fa il presidente della FNOMCEO ha comunicato che erano 644 i medici attualmente sospesi dagli albi degli Ordini italiani. Le sospensioni sono state in tutto 820, di cui 176 revocate dopo che i medici di sono vaccinati (vedi Il Sole 24 ore-Sanità dell’8 settembre). Poiché i dati si riferiscono al 40% degli Ordini provinciali, si può ritenere che le sospensioni riguardino circa 1.600 medici. A questi vanno aggiunti tutti gli altri professionisti sanitari, gli OSS e il personale che ha contatti diretti con il pubblico. Sono tanti ? Sono un numero irrilevante?
Ciascuno può trarre le proprie conclusioni ma, riguardo agli aspetti generali della questione, una cosa è certa e cioè che la procedura prevista dal decreto 44 è troppo complicata, lunga e farraginosa. Si sono puntualmente verificate tutte le criticità che avevo segnalato fin dal primo articolo del 12 aprile 2021 e oggi a tre mesi (teorici) dalla fine dello stato di emergenza siamo ancora in una fase di lenta e progressiva attuazione del percorso. Alla luce delle numerose sentenze intervenute nel frattempo, può essere interessante approfondire un aspetto delicato che ha ricadute sul rapporto di lavoro: la natura giuridica della sospensione. Intendo quella adottata dall’azienda sanitaria a seguito della comunicazione dell’Ordine. Benchè nessuno abbia chiarito o specificato alcunché, penso di poter ipotizzare le seguenti caratteristiche.
•La sospensione prescritta dall’art. 4, comma 8 della legge 76/2021 è completamente nuova e diversa da tutte quelle conosciute all’interno del nostro ordinamento giuridico. In realtà anche il termine “sospensione” non appare esatto perché la legge la riferisce solo all’albo professionale per cui quella che adotta il datore di lavoro – conseguente all’altra – non viene nemmeno definita così dal comma 8 e, in termini tecnici, dovrebbe essere ritenuta una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1256 cc. Non è certamente assimilabile alla sanzione disciplinare della “sospensione” ma nemmeno a quella cautelare che viene disposta in pendenza di procedimento penale. Quest’ultima tesi è stata avanzata al fine di recuperare almeno l’assegno alimentare ma la fattispecie della sospensione cautelare ha caratteristiche molto diverse da quella di cui stiamo parlando perché:
-interviene su situazioni di incertezza in attesa di definizione, al contrario della sanzione disciplinare e della sospensione ex art. 4 della legge 76/2021 che riguardano situazioni chiuse e definitive;
-lo stesso aggettivo “cautelare” dà il senso della provvisorietà;
-può avere una durata fino a cinque anni, periodo che giustificherebbe il richiamo all’art. 36 della Costituzione, mentre le altre due sono di durata nettamente minore.
•Ambito funzionale della sospensione, nel senso se essa sia totale per qualsiasi attività professionale ovvero, come sembra letteralmente dalle parole utilizzate dal legislatore, se la sospensione agisce solo sul “diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali”, restando salve le attività prive di tali contatti. Questo scenario è fondamentale per l’eventuale adibizione del lavoratore “ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6“. Ma semmai la questione si pone per il personale non iscritto in un albo professionale perché la sospensione dall’Ordine è completa e qualsiasi attività professionale concretizzerebbe la fattispecie di cui all’art. 348 del codice penale.
•Per ciò che concerne il rapporto di lavoro la sospensione rende inutilizzabili i relativi periodi temporali a qualsiasi fine: esperienza prescritta per gli incarichi dirigenziali e per quelli di funzione del comparto, maturazione anzianità per le fasce dell’indennità di esclusività, superamento del periodo di prova.
•Riguardo alle ricadute previdenziali della sospensione, l’INPS non ha fornito indicazioni in merito alla tutela pensionistica relativa al citato periodo di sospensione, ad esempio riscattabilità o contribuzione figurativa. Si deve dunque ritenere che, poiché viene meno la prestazione lavorativa, si interrompe il rapporto sinallagmatico con la remunerazione dell’attività stessa per cui anche la tutela pensionistica e previdenziale debba di conseguenza essere sospesa. Stesse considerazioni valgono anche ai fini delle anzianità valutabili per l’indennità premio di servizio (IPS) o per il TFR per coloro che ne fruiscono.
•Ai fini della revoca della sospensione cioè al momento in cui può riprendere servizio il medico sospeso (o un altro dipendente coinvolto nell’obbligo), si sta diffondendo la tesi che il dipendente che presenti il Green pass possa essere assimilato a coloro che lo utilizzano per tutte le altre attività ma resto molto perplesso su tale determinazione. Infatti la legge dice con chiarezza che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione” mentre il Green pass viene rilasciato anche a fronte di un tampone negativo. Pertanto credo di poter affermare che la sospensione può essere revocata solo dietro presentazione del certificato di avvenuta vaccinazione completa nelle due dosi. Un’altra problematica che si potrebbe presentare è quella del termine “legale” della sospensione perché il comma dell’art. 7 stabilisce che mantiene efficacia “comunque non oltre il 31 dicembre 2021” a prescindere dal completamento o meno del piano vaccinale.
•C’è, infine, quella disposta dall’Ordine di appartenenza ai sensi del comma 6. Sulla scorta di una risposta del ministero della Salute ad un quesito della FNOMCEO è stato chiarito che la normativa ordinistica del 1950 non c’entra nulla e che non è possibile accedere a “qualsivoglia forma di estensione analogica” con la sospensione per fatti di natura penale. Aggiunge poi il Ministero che quello che l’art. 4, comma 7 pone in capo all’Ordine professionale è un “mero onere informativo” dell’accertamento svolto dalla ASL di residenza di cui l’Ordine deve solo prendere atto, si immagina senza motivazione specifica perché la delibera della Commissione d’Albo ha natura dichiarativa e non costitutiva: l’atto-madre è dunque della ASL di residenza.
In chiusura, vorrei tornare sulle dichiarazioni del presidente Anelli che ha affermato che “molte ASL stanno cercando di affidare ai medici compiti amministrativi, ma questo è difficilmente realizzabile”. Aggiungo che non solo è difficilmente realizzabile ma – soprattutto – costituisce un evidente danno erariale perché retribuire compiti amministrativi con l’indennità di specificità medica e con quella di esclusività è ovviamente illegittimo.