Il Sole 24 Ore. In ordine cronologico Mario Draghi l’ha collocata all’ultimo punto dell’agenda settembrina che porta al varo della manovra. Ma la soluzione per il dopo Quota 100 è da tempo una delle priorità per i partiti della maggioranza e per i sindacati. Che per mesi si sono mossi in ordine sparso. Ma che ora, con l’avvicinarsi a grandi passi del momento in cui a metà ottobre sarà presentata la legge di bilancio, cominciano anche a valutare i percorsi praticabili per giungere a una sintesi. La maggioranza non è insomma intenzionata a restare in attesa che il governo formuli la sua proposta.
Anche se tra i tecnici del governo la preferenza andrebbe a un allineamento a 64 anni tra il canale d’uscita (con almeno 20 anni di contributi) già previsto per i soggetti interamente “contributivi” e quello, tutto da creare, per i lavoratori retributivi e soprattutto con nel sistema “misto” (con una fetta di retributivo). Ma non viene neppure esclusa del tutto la possibilità di valutare pensionamenti anche a 62-63 anni ma con il vincolo di aver maturato almeno 41 anni di contribuzione. Una soluzione quest’ultima molto lontana dalle richieste della maggioranza e dei sindacati. Che sono già d’accordo su un punto: la proroga e l’estensione dell’Ape sociale ad altre categorie di lavori gravosi o pericolosi, alla quale sta lavorando il governo, non è uno strumento sufficiente per affrontare il dopo Quota 100.
«Il tema dei gravosi ha una sua specificità che non va confusa con quello della flessibilità in uscita per il dopo Quota 100», afferma Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e attuale presidente della Commissione tecnica istituita dal ministro Andrea Orlando proprio per studiare il tema della gravosità dei lavori anche in funzione di un allargamento dell’attuale platea. E anche il responsabile lavoro della Lega, Claudio Durigon, dice a chiare lettere che l’Ape sociale «da sola non basta». Il rafforzamento dell’Anticipo pensionistico sociale resta comunque un punto fermo nella strategia pensionistica della maggioranza. Lo stesso Damiano conferma che la dote finanziaria fin qui a disposizione per l’Ape non è stato spesa tutta e aggiunge: «l’esigenza è superare la fase sperimentale, lo strumento si è rivelato efficace», per poi «allargare la platea dei beneficiari sulla base di criteri rigorosi».
Ma per il dopo Quota 100 vanno trovate altre misure. «Serve una riforma che dia sostenibilità al mercato del lavoro in entrata e anche in uscita, anche perché – sottolinea Durigon – dopo la crisi generata dal Covid c’è ancora più bisogno di flessibilità in uscita per poter investire maggiormente sui giovani». Come è noto, la soluzione ideale del Carroccio sarebbe Quota 41, ovvero la possibilità di uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica, ma Durigon ammette che questo non è il momento giusto per spingere su questa opzione. La Lega caldeggia altre due opzioni: la proroga di un anno di Quota 100 così com’è, che, ribadisce Durigon, «costerebbe solo 400 milioni il primo anno» o «la creazione di un apposito fondo a capienza per il settore privato», o, al limite, in prima battuta per i settori produttivi maggiormente in difficoltà, chiamato a finanziare i pensionamenti anticipati fino all’esaurimento delle risorse con requisiti minimi sempre di 62 anni e 38 di contribuzione come per Quota 100. Ma Durigon sarebbe pronto a discutere, così come tutta la Lega, anche su un requisito anagrafico di 63 anni. E proprio alla proposta di uscite flessibili con 63 anni e almeno 35 anni di contributi, insieme alla penalizzazione del 2-3% per ogni anno d’anticipo, formulata nel 2013 da Damiano, Luisa Gnecchi, Pier Paolo Baretta, sono in molti a guardare nel Pd. Damiano non esclude la possibilità di allineare queste “soglie” ai 63 anni d’età più 36 di versamenti richiesti ad alcune categorie di lavori gravosi per accedere all’Ape sociale. Anche se il Mef continua a guardare con distacco all’ipotesi di nuove Quote.