Il Sole 24 Ore. Con i nuovi contratti nazionali le buste paga dei dipendenti pubblici potranno crescere grazie ai «differenziali stipendiali» che dovranno premiare «il maggior grado di competenza professionale progressivamente acquisito dai dipendenti nello svolgimento delle funzioni».
Il nuovo strumento fa la sua comparsa nelle bozze di contratto delle Funzioni centrali che saranno oggi pomeriggio al centro del confronto fra l’Aran, l’agenzia nazionale che rappresenta la Pa come datore di lavoro, e i sindacati. Ma come sempre il comparto delle Funzioni centrali, che riunisce i dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici e attende dal rinnovo contrattuale un aumento da circa 104 euro lordi al mese, anticipa nella parte normativa le regole che torneranno anche negli altri settori della Pa.
Il testo preparato dall’agenzia per l’incontro di oggi ridisegna poi la gerarchia dei dipendenti, distribuendoli in quattro aree: dal basso verso l’alto, le amministrazioni saranno divise nei livelli di operatori, assistenti, funzionari e alte professionalità. Nonostante la freddezza in un’ampia area sindacale, si conferma quindi la creazione di un livello destinato all’alto funzionariato tecnico nell’ultimo scalino prima della dirigenza.
Proprio il ripensamento degli ordinamenti professionali del pubblico impiego è uno dei compiti fondamentali del nuovo contratto, insieme alla disciplina a regime dello Smart Working (articolo a fianco), e va letto in relazione alle norme che già ci sono e a quelle che si aspettano in autunno.
Tra le prime ci sono soprattutto quelle decise con il decreto Reclutamento (Dl 80/2021), che semplificano le promozioni all’interno delle amministrazioni pubbliche. Le attese invece si concentrano soprattutto sulla legge di bilancio, che come indicato anche dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico firmato a marzo a Palazzo Chigi dovrà finanziare con nuove risorse la revisione degli ordinamenti. Questo doppio livello normativo e contrattuale prova a tradurre in pratica il tentativo di rendere più attrattiva la Pa costruendo nuovi percorsi di carriera.
La leva contrattuale costruita per attivare il meccanismo è appunto quella dei «differenziali stipendiali». Questo strumento, tradotto in incrementi fissi mensili sul tabellare differenziati a seconda dell’area di appartenenza, avverrà con procedure selettive di area a cui potrà partecipare chi negli ultimi anni non ha ottenuto progressioni, a patto di non essere incappato in procedimenti disciplinari negli ultimi tre anni. La graduatoria delle procedure selettive sarà stilata in base alla media dei punteggi ottenuti dal dipendente nelle ultime tre valutazioni individuali annuali, con un correttivo che potrà essere inserito dai contratti integrativi per spingere i dipendenti a secco di progressioni negli ultimi anni. In caso di passaggio all’area successiva, i differenziali decadrebbero (tranne quelli necessari a evitare diminuzioni di stipendio nonostante la progressione), mentre le vecchie progressioni ottenute fin qui sarebbero consolidate nella voce del «salario di professionalità» (anche questo decade con il passaggio di area).
Fin qui le previsioni della bozza, la cui efficacia operativa dipenderà essenzialmente da due fattori: la traduzione in cifre di questi «differenziali stipendiali», in un calcolo complesso che deve considerare realtà oggi molto diversificate all’interno dello stesso comparto, e i parametri per la valutazione individuale, per evitare il ripetersi di classifiche schiacciate al rialzo da una presenza eccessiva di”campioni” o viziate da particolari discrezionalità dirigenziali. La definizione dei numeri deve poi fare i conti con i limiti posti al superamento del blocco dei fondi per il salario accessorio, che la contrattazione può portare avanti solo «nei limiti delle risorse destinate a tale finalità» (articolo 3, comma 2 del Dl 80/2021): formulazione scivolosa che intercetta però un problema cruciale, perché i differenziali stipendiali finiranno nel tabellare ma saranno finanziati dalle risorse con «caratteristiche di certezza, stabilità e continuità» presenti nei fondi decentrati.
Nella gerarchia pubblica la novità più importante è invece rappresentata dall’area delle «alte professionalità». Per entrarci occorrerà una laurea magistrale «accompagnata, di norma, da un periodo pluriennale di esperienza lavorativa in funzioni specialistiche e/o di responsabilità che possono anche richiedere l’iscrizione ad albi professionali». Nelle intenzioni è l’area che comincerà a essere popolata dagli specialisti assunti per il Pnrr, come prima tappa di una carriera verso una dirigenza tecnica ricostruita.