Repubblica. A fine agosto Israele aveva 10 mila contagi al giorno, più che a gennaio. In quel momento è arrivato uno studio preoccupante. Le persone vaccinate a gennaio avevano una probabilità del 53% superiore di infettarsi rispetto a chi aveva ricevuto le iniezioni a marzo. Sembrava arrivato il giorno tanto temuto: quando avremmo visto l’efficacia dei vaccini calare. Dopo soli 9 mesi dall’arrivo delle prime fiale, un po’ di delusione è comprensibile. Israele si è affrettata ad avviare il terzo ciclo di somministrazioni. Anche l’Italia ha dato il via libera alla terza dose, ma solo a categorie ben precise, con il via libera dell’Agenzia italiana del farmaco atteso a breve. A fine settembre l’ulteriore iniezione è prevista per circa 3 milioni di immunodepressi. A dicembre toccherà agli over 80 e da gennaio agli operatori sanitari.
Alle statistiche israeliane si sono aggiunte quelle americane e inglesi, non dissimili, accompagnate anche lì da un forte aumento dei contagi: 160 mila al giorno negli Usa, quasi 40 mila nel Regno Unito. Numeri da ondata pre-vaccini per quanto riguarda le infezioni, ma con una percentuale di morti grandemente ridotta. I dati raccolti a New York confermano che le curve dei vaccinati che si contagiano sono molto differenti dalle curve di chi si ammala gravemente. Il rischio di ricovero fra i vaccinati è basso e non aumenta col tempo: meno 95% rispetto ai non vaccinati. Israele calcola un meno 85%, per gli inglesi è meno 96%.
In Italia segnali di un calo di efficacia non si notano. La fondazione Gimbe calcola che sono aumentati gli operatori sanitari contagiati (questa categoria era stata immunizzata per prima, a partire dal 27 dicembre, e oggi è quasi al 98% di copertura): 2.553 a luglio e 2.460 ad agosto. In primavera erano calati a 265. Ma Gimbe stessa ammette che la causa potrebbe essere l’aumento dei casi nella popolazione generale. Un focolaio di 6 persone (5 vaccinate) si è registrato all’ospedale di Trento. Una decina i contagiati al Sant’Eugenio di Roma, 15 in una Rsa, del cosentino, immunizzate. Ma nessuno di loro ha sintomi che non siano lievi.
I vaccini allora stanno perdendo efficacia? Di fronte alla variante Delta, arrivata a giugno, sicuramente sì. Di fronte al passare del tempo, probabilmente no. Che i vaccini, messi a punto con il coronavirus di Wuhan, non fossero perfetti di fronte alla Delta, era prevedibile. Una ricerca su Nature ha visto che gli anticorpi dei guariti hanno un’efficacia ridotta di 5,7 volte rispetto al virus di Wuhan. Per gli anticorpi dei vaccinati il calo è di 8 volte. L’università di San Diego ha misurato un’efficacia del 90% a marzo, scesa al 65,5% a luglio, con la Delta ormai prevalente.
E poi c’è il fattore tempo. «Il numero di anticorpi si dimezza approssimativamente in tre mesi» spiega Andrea Mengarelli, responsabile dell’unità di ematologia dell’Istituto oncologico Regina Elena a Roma. «Nei nostri pazienti il sistema immunitario è meno efficiente. Già in partenza i livelli non erano alti. Oggi siamo scesi a valori che potrebbero essere insufficienti ». Nel caso delle persone fragili, dunque, la terza dose sembra molto importante.
Anche nei sani si vede un calo degli anticorpi. «Ma più importante sarebbe osservare le cellule della memoria immunitaria» spiega Andrea Cossarizza, immunologo all’università di Modena. Sono loro a determinare la durata di un vaccino. «Ma mentre gli anticorpi li misuri nel sangue, per un esame accurato dei linfociti serve un prelievo nei linfonodi o nella milza. Non è un caso che le informazioni sulla durata dei vaccini non siano ancora conclusive».