Il Sole 24 Ore. Arriva la riforma del whistleblowing. È ormai pronto il decreto legislativo, in tutto 21 articoli, che recependo nel nostro ordinamento la direttiva 2019/1937 sulla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto comunitario, riscrive larghi tratti della disciplina entrata in vigore nel 2012 nel settore pubblico e alla fine del 2017 in quello privato. Tra le principali e già controverse novità, la possibile estensione del perimetro delle imprese private coinvolte e la possibilità di effettuare segnalazioni pubbliche.
A venire innanzitutto meglio precisato nel dettaglio è l’identikit del segnalante e cioè la persona fisica che segnala o divulga informazioni sulle violazioni acquisite nell’ambito del proprio contesto lavorativo. Ma, più nel dettaglio, a rientrare nella figura sono anche i liberi professionisti e i consulenti, che prestano la propria attività in favore di un soggetto del settore pubblico ovvero di un soggetto del settore privato, gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche quando queste funzioni sono esercitate solo di fatto. Ma l’ombrello protettivo può estendersi anche a parenti e conviventi, se dalla segnalazione potrebbero derivare rischi anche per loro.
Quanto alle imprese interessate, appare problematico l’inserimento nel campo di applicazione delle nuove norme degli enti presi in considerazione dal decreto legislativo 231 del 2001 anche se hanno meno di 50 dipendenti.
Dove il riferimento specifico conduce ad applicare la nuova disciplina anche a piccole e piccolissime imprese con un’estensione dell’ambito applicativo soggettivo.
Le disposizioni sulla tutela del whisleblower non possono derogare alle misure interne in materia di protezione delle informazioni classificate, di protezione del segreto professionale forense e medico, segretezza delle deliberazioni degli organi giurisdizionali, procedura penale.
Quanto alle segnalazioni “private”, nella versione attuale della legge 179/17, devono essere circostanziate su condotte illecite, rilevanti per il decreto 231, e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti; per la riforma invece la protezione scatta solo se, al momento della segnalazione o della divulgazione pubblica, il segnalante aveva il ragionevole motivo di ritenere che le informazioni segnalate fossero vere e che la segnalazione o divulgazione pubblica fosse necessaria per fare emergere una violazione di pubblico interesse rientrante nel campo di applicazione del presente decreto.
I motivi che hanno indotto la persona a segnalare sono irrilevanti ai fini della sua protezione.
Le segnalazioni possono essere veicolate attraverso tre canali, quello interno (per i soggetti privati soggetti a decreto 231 le segnalazioni vanno indirizzate all’organismo di vigilanza, per quelli pubblici, se previsto, al responsabile prevenzione e corruzione) quello esterno, all’Anac, e quello pubblico. È così ammessa anche la tutela di fronte a divulgazioni pubbliche degli illeciti, ma nel rispetto di tre condizioni:
la persona segnalante deve avere in precedenza effettuato una segnalazione interna o esterna e a questa non è stato dato adeguato seguito nei termini;
la persona segnalante aveva fondato motivo di ritenere che la violazione potesse costituire un pericolo imminente o chiaro per il pubblico interesse tutelato o che vi fosse il rischio di un danno irreversibile, anche all’incolumità fisica di una o più persone;
la segnalazione interna o esterna avrebbe comportato il rischio di ritorsioni o non avrebbe fornito sufficienti garanzie di efficacia per le circostanze del caso concreto.