Sono 4.950 i dipendenti del Sistema sanitario regionale che non si sono vaccinati contro il Covid-19. Il dato comprende i medici di base e i pediatri di libera scelta, accreditati con il pubblico, ma non il personale dei centri privati. Nel totale si contano 4.200 professionisti del comparto, cioè infermieri, operatori sociosanitari (Oss) e tecnici, e un centinaio di medici. Il resto comprende veterinari, psicologi, fisioterapisti, farmacisti e altre figure. Cresce di conseguenza il numero dei sanitari sospesi, come prevede il decreto dello scorso aprile, ma aumentano pure i «pentiti». Cioè coloro che dopo aver ricevuto dall’Usl di appartenenza la lettera di sospensione dal lavoro e dallo stipendio fino al 31 dicembre prossimo, hanno deciso di capitolare e farsi immunizzare. E sono rientrati in servizio.
L’Usl Marca Trevigiana rimane in testa con 186 sospesi (10 ospedalieri e 115 privati, tra cui farmacisti, veterinari, fisioterapisti e psicologi), 90 dei quali hanno fatto dietrofront, assumendo l’anti-Covid. L’Usl Berica ha inviato la lettera di sospensione a 38 dipendenti no vax, convincendone sei a ricredersi; altri cinque «pentiti» all’Usl Pedemontana, che ne aveva allontanati dal servizio 28. I primi due camici bianchi no vax, un medico di famiglia e uno in forza a un’Usca (Unità speciale di continuità assistenziale) sono invece stati sospesi dall’Usl Euganea, che ha adottato lo stesso provvedimento per nove dipendenti del comparto. Un medico e altri sei operatori sono stati raggiunti dalla medesima misura all’Usl Scaligera, invece l’Usl Dolomiti ha dovuto procedere nei confronti di tre infermieri e un Oss. L’Usl Serenissima ha inviato le prime 30 lettere e sta vagliando ulteriori 200 posizioni, infine l’Usl Polesana ha già sospeso 12 sanitari e oggi comunicherà ulteriori disposizioni.
«I direttori generali stanno lavorando per convincere il personale a immunizzarsi, offrendo nuove sedute di somministrazione, ma anche per studiare gli aggiustamenti necessari a coprire le mansioni dei dipendenti a casa fino alla fine dell’anno — spiega il presidente del Veneto, Luca Zaia —. Non è facile sostituirli, anche perché ci sono in mezzo figure apicali e strategiche».
Non pare percorribile nemmeno la soluzione ventilata dal dg della Sanità regionale, Luciano Flor, di spedire gli operatori no vax nei reparti Covid. Ipotesi peraltro osteggiata dagli Ordini dei Medici. «Questa proposta è in contrasto con la linea deontologica da noi sostenuta dall’inizio della pandemia — dichiara Domenico Crisarà, presidente dell’Ordine di Padova —. Non è accettabile l’idea che un camice bianco rifiuti il vaccino, così come non si possono spostare i medici da un reparto all’altro senza tener conto delle loro specifiche professionalità e competenze. Anche perché, ed è l’aspetto più delicato, si viene meno alla tutela della salute del paziente. Ci troviamo dinanzi ad un paradosso, sul quale abbiamo l’obbligo di chiedere un’ulteriore riflessione».
I pediatri, con il presidente regionale della Sip, Fabrizio Fusco, hanno invece scritto a Zaia e ai direttori generali delle Usl per sollecitare la vaccinazione nella fascia d’età 12/18 anni. «Anche se risulta essere tra quelle meno colpite dal Covid-19, recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato la presenza di gravi complicanze renali o multisistemiche, come sta emergendo per l’adulto — si legge nella missiva —. E poi bambini e adolescenti possono fungere da serbatoio per la diffusione del virus nella popolazione generale, perciò implementare l’offerta vaccinale aiuterà a ridurre la circolazione del Sars Cov-2 e il rischio che generi varianti potenzialmente più contagiose o capaci di ridurre l’efficacia dei sieri in uso. Infine un’alta copertura vaccinale nella fascia suddetta permetterà l’apertura dell’anno scolastico in sicurezza».
Il Corriere del Veneto