Percorso in tre tappe: si comincia con gli immunodepressi, poi il personale sanitario e dal 2022 di nuovo gli over 80 Partenza ritardata per aspettare l’arrivo dei vaccini di Pfizer e Moderna aggiornati contro la variante Delta
La Stampa. In Israele sono già mezzo milione le terze dosi di vaccino somministrate fino a questo momento agli over 60. E poco importa a Tel Aviv se i no vax stanno facendo rimbalzare sui social le storie dei 14 ultrasessantenni che, nonostante il richiamo tris, tutti messi piuttosto male in salute, si sono reinfettati pur senza gravi conseguenze. L’Italia però segue con attenzione il laboratorio israeliano e il fatto che la variante Delta, seppur di rado, sia riuscita a rompere la barriera vaccinale, ha spinto gli esperti italiani a consigliare al nostro governo di ritardare ancora un po’ il piano «booster», come in gergo tecnico si chiama la terza dose. Questo per avviare l’operazione con armi più affilate: quelle dei vaccini Pfizer e Moderna aggiornati in versione anti ex indiana, oramai prossimi ad essere approvati dall’Ema, l’agenzia regolatoria del farmaco europea. La quale continua a dire che non esistono ancora evidenze scientifiche sulla necessità del richiamo di scorta, per il semplice fatto che essendo iniziate a dicembre le prime vaccinazioni ancora non sappiamo quanto tempo duri esattamente l’immunizzazione indotta dai vaccini. Ma una serie di studi internazionali, il più importante dei quali condotto in Italia, stanno via via provando che le difese anticorpali sono meno robuste e tendono a svanire più rapidamente in alcune categorie di pazienti fragili. E da questi si inizierà, come confermato dallo stesso ministro Speranza, che ha ammesso: «Siamo pronti, abbiamo acquistato dosi a sufficienza per fare la terza dose e le prime indicazioni ci lasciano presupporre che si partirà dai più fragili».
In realtà il piano c’è già e si snoda in tre tappe. A ottobre, al massimo il mese successivo se sarà necessario attendere ancora per avere la versione aggiornata del vaccino, si inizierà da immunodepressi gravi, malati oncologici che hanno terminato da non più di sei mesi le terapie chemioterapiche, trapiantati e pazienti affetti da malattie autoimmuni gravi, come il lupus sistemico. Poi, a fine anno, prima delle vacanze natalizie, toccherà al personale sanitario, quello più esposto al rischio di contagio o di contagiare, magari perché lavora in raparti Covid o di terapia intensiva. La fase tre inizierà invece a gennaio e coinvolgerà la popolazione generale, partendo dalle categorie dei lavoratori più a rischio, come le forze dell’ordine, e dagli over 80, che a quel punto spegneranno la candelina di un anno dalla loro prima puntura.
Un piano che nessuno ha voglia di pubblicizzare ora più di tanto, per evitare che il popolo degli scettici interpreti malamente la somministrazione del «booster» come la prova del mal funzionamento dei vaccini. Gli stessi motivi che fino a ieri hanno suggerito agli Usa di muoversi con prudenza. Mentre oggi, con la Delta che ha cambiato il volto della pandemia, Anthony Fauci, capo della task force anti-Covid della Casa Bianca, rompe gli indugi, affermando cha anche gli Usa «dovranno iniziare presto a garantire con una terza dose la copertura agli immunodepressi e ai fragili, prima di passare al resto della popolazione». I primi studi, condotti su poco più di un centinaio di pazienti, sembrano infatti dimostrare che la risposta anticorpale nei pazienti in cura con chemioterapia o «target therapy» non è così robusta a causa dell’effetto immunosoppressivo di queste cure. Mentre i pazienti in trattamento con immunoterapia sono risultati avere una quantità di anticorpi mediamente superiore. Altre ricerche hanno fornito però dati di efficacia meno univoci.
Un’informazione più chiara arriverà da un grande studio italiano, condotto su 600 pazienti e che coinvolge 11 istituti di cura a carattere scientifico, tra i quali lo Spallanzani di Roma. Ma i primi dati, spiega Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto tumori di Milano, confermano che «soprattutto i malati onco-ematologici non rispondono come gli altri, né alla produzione di anticorpi e nemmeno all’attivazione dell’immunità mediata dei linfociti». Ossia in loro non scatterebbe quella memoria cellulare che, al momento dell’attacco virale, consente proprio ai linfociti di produrre le truppe anticorpali che si muovono sotto forma di immunoglobuline. Le oramai famose Igg e Igm che si vanno a cercare, quasi sempre inutilmente, con i test sierologici. Uno studio francese a sua volta ha misurato l’efficacia dei vaccini sui trapiantati, che è solo del 4% dopo la prima dose, del 40% dopo la seconda e del 68% a quattro settimane dalla terza. Che per questo si inizierà a somministrare partendo da loro. —