La Stampa. Per Annamaria Staiano, professoressa ordinaria all’Università Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di pediatria, l’avanzare della variante Delta deve suggerire a tutti genitori di «vaccinare i propri figli appena possibile, perché è importante arrivare all’inizio della scuola con i ragazzi coperti con due dosi».
Fino a che età vanno vaccinati?
«La nostra raccomandazione per ora riguarda la fascia 12-18 anni, quella per cui sono stati autorizzati dall’Ema i vaccini Pfizer e Moderna. Un domani la vaccinazione potrebbe coinvolgere anche i più piccoli».
Perché i 12-18enni devono vaccinarsi?
«Innanzitutto non bisogna dimenticare che la vaccinazione è una misura di sanità pubblica che riguarda tutti e che funziona quante più persone vengono coinvolte».
Il rischio è che i ragazzi diventino un serbatoio del virus?
«È successo l’estate scorsa, quando il virus ha ricominciato a trasmettersi a partire da loro per arrivare alle famiglie. Una dinamica pericolosa in un momento in cui va evitata la creazione di varianti che eludano i vaccini. Queste ultime si diffondono perché esistono serbatoi di soggetti non vaccinati e la fascia pediatrica lo è».
Ci sono anche motivi individuali per vaccinare i ragazzi?
«Oltre alla riduzione del pericolo del contagio per i famigliari vanno evitati i pur rari casi di malattia, che a seconda della condizione della persona possono avere effetti diversi, nonché le problematiche che affliggono alcuni ragazzi guariti dal Covid. La più famosa è la sindrome infiammatoria multisistemica (Mis-C), che in Italia ha mandato in terapia intensiva un centinaio di giovani e provocato il decesso di un bambino con comorbilità».
La variante Delta è più pericolosa per i ragazzi?
«Per quello che sappiamo è più contagiosa e infettando più velocemente finisce per aumentare i casi problematici. Non dimentichiamo che il virus ha comportamenti e conseguenze ancora poco conosciuti, mentre i vaccini sono una sicurezza».
Si è discusso molto sull’effetto dell’apertura delle scuole sui contagi. Lei che ne pensa?
«Da un lato c’è uno studio israeliano che mostra come il ritorno in classe non abbia causato un incremento di infezioni, dall’altro è chiaro che l’incontro con gli altri fuori dalla scuola, il movimento sui trasporti e il ritorno in famiglia rappresentino un problema. Si può cercare di limitare e rendere più sicuri questi passaggi con dei protocolli, ma la vaccinazione è una protezione maggiore e per questo necessaria».
È ipotizzabile il ritorno a scuola solo per i ragazzi vaccinati?
«È auspicabile, ma un obbligo sarebbe molto forte. Meglio consigliare fortemente ai genitori di muoversi per tempo».
E se il governo mettesse l’obbligo?
«Come pediatri seguiremmo le norme. Non è compito di una società scientifica decidere l’obbligo, ma consigliare l’utilità della vaccinazione».
Il Green Pass non è una sorta di obbligo indiretto?
«È un incentivo, che per noi pediatri più che un punto di partenza dovrebbe essere un punto di arrivo. Viene rilasciato dopo la prima dose, mentre noi vorremmo che venisse dato dopo la seconda per evitare il rischio che qualcuno non completi il ciclo».
Il Green Pass potrebbe essere allargato alla scuola?
«È una decisione che spetta al governo, a noi al di là del certificato interessa che la vaccinazione venga vista come una protezione personale e sociale da cogliere urgentemente, anche per garantire una ripartenza in presenza della scuola».
Come convincere gli esitanti?
«Bisogna rendere consapevoli genitori e figli che il vaccino è l’unico modo per combattere il virus e per far vivere la famiglia e la società in sicurezza davanti al continuo cambiamento della situazione».
Perché Regno Unito e Germania nicchiano sulla vaccinazione ai ragazzi?
«Prima o poi ci arriveranno, come Israele che ha fatto retromarcia».
Le donne in gravidanza e allattamento possono vaccinarsi?
«Sì, tranquillamente». —