Il Corriere della Sera. «Faccio subito una premessa. Per quanto mi riguarda avrei cominciato a vaccinare per prima la popolazione degli adulti in attività, tra 40 e 65 anni. Quelli che si muovono, lavorano e portano in giro il virus», dissente dalle politiche che hanno dato la priorità agli anziani Fabio Midulla, ordinario di pediatria alla Sapienza, presidente della società italiana malattie respiratorie infantili.
Come si sviluppa il suo ragionamento?
«C’era da aspettarsi che una volta cadute tutte le restrizioni i giovani avrebbero ricominciato a prendersi a piene mani le loro libertà. È comprensibile. Sono stati mesi durissimi per loro. Non bastava raccomandare di stare attenti. Bisognava fare prevenzione attiva».
Non c’erano abbastanza dosi. Non si poteva toglierle ai più fragili, non pensa?
«Poi le dosi sono arrivate, adesso il problema non c’è. Occorreva accelerare con le immunizzazioni tra 17 e 25 anni, fra i ragazzi in odore di vacanza e divertimento».
Lei dirige il pronto soccorso pediatrico del policlinico Umberto I. Sa bene quanto sono stati pesanti lockdown, coprifuoco e zone rosse per bambini, adolescenti e studenti universitari.
«Anche noi abbiamo svolto uno studio sulle problematiche psicologiche. I tentativi di suicidio si sono triplicati nel periodo della pandemia rispetto ai tempi normali e lo stesso vale per episodi di somatizzazione di malattie non esistenti. Il malessere si è espresso alla massima potenza. Quindi adesso non stupiamoci se c’è voglia di rifarsi».
Non bastano gli appelli al rispetto delle regole d’oro?
«Davanti ai maxischermi e nei luoghi del divertimento non c’è mascherina e distanziamento che tengano».
Midulla, lei è dalla loro parte, ragiona come un ventenne?
Priorità
La premessa è che andava immunizzata prima la parte di popolazione attiva, tra i 40-65 anni
«Certo. Non me la sento di ripetere non fate questo e quello. Il messaggio deve essere: vuoi essere libero e sicuro? Benissimo, allora vaccinati con doppia dose prima di andare dove e con chi vuoi. Non dimentichiamo quello che è successo nell’estate 2020. Il virus ha ripreso quota ripartendo dalle località di vacanza. Ma allora i vaccini non erano ancora disponibili».
Secondo lei adolescenti e 20enni che atteggiamento hanno nei confronti del vaccino?
«Più che positivo. Lo vedo qui al policlinico. Da quattro settimane abbiamo aperto le prenotazioni e riceviamo centinaia di adesioni al giorno, anche nel fine settimana. Parliamo di generazioni fresche di vaccinazioni. Pensiamo a un adolescente che si sottopone all’anti Covid dopo aver fatto circa 16 vaccini pediatrici, fra obbligatori e raccomandati. Insomma non sono come noi adulti che abbiamo dimenticato queste scadenze e le temiamo come se dovessimo riceverne chissà quale danno».
È superfluo chiederle se ritiene condivisibili certe perplessità sulla sicurezza dei vaccini per 12-15enni?
«Da genitore sono molto tranquillo. Il rischio di miocardite, l’infiammazione che in rari casi è stata collegata all’anti Covid di Pfizer-Biontech, è molto basso e i pochi episodi riscontrati si sono risolti con le normali terapie e in generale senza ricoveri. Nel nostro pronto soccorso non abbiamo avuto riscontro di questi presunti effetti collaterali».
Rischi trascurabili?
«Al contrario, in reparto abbiamo trattato forme gravi conseguenti al Covid tra le quali un caso di sindrome multisistemica infiammatoria e una trombosi cerebrale, ambedue finiti bene. Questo per ricordare che sì, i giovani che prendono il Sars-CoV-2 in generale sviluppano sintomi lievi ma ci sono eccezioni».
In conclusione, crede che le riaperture avrebbero dovuto seguire un criterio di gradualità?
«Parlare da fuori e senza dover tenere conto di altre esigenze è facile. Sono convinto però che le strategie di vaccinazione avrebbero dovuto considerare il rischio altissimo dei ragazzi che avrebbero ripreso in mano la loro vita. Scriteriati? No, ci siamo passati anche noi grandi».