«Questo sarà il tema più importante per il nostro Servizio sanitario nazionale nei prossimi mesi, perché questo mezzo miliardo, per quanto mi riguarda, è solo il primissimo pezzo di un impegno a cui dovremo sicuramente attenerci in maniera molto forte». Così pochi giorni fa il ministro della Salute Roberto Speranza rispondeva a una interrogazione in Parlamento sulle iniziative del Governo per provare a cominciare a colmare quell’enorme buco nero rappresentato dalle cure saltate a causa dell’emergenza Covid: milioni di ricoveri, esami e screening rinviati sine die. E si perché l’allarme liste d’attesa è in cima alle priorità del Governo già dall’estate scorsa quando il decreto agosto stanziò quasi 500 milioni per provare a far ripartire tutta l’altra Sanità rimasta a lungo in sospeso. Solo che i ritardi delle Regioni nella messa a punto dei piani ma soprattutto il ritorno delle nuove pesanti ondate del Covid nell’autunno e nella primavera scorsa hanno di nuovo fermato tutto o quasi. Ora il nuovo tentativo: nel decreto Sostegni bis in Gazzetta Ufficiale a fine maggio sono tornati quei 500 milioni, o almeno una parte delle risorse rimaste. Perché come certificato dalla Corte dei conti a livello nazionale ben il 67% di quelle risorse stanziate lo scorso agosto non sono state ancora impiegate o programmate e con differenze a livello regionali molto vistose: al Sud i fondi non spesi per le liste d’attesa arrivano al 97%, al Nord al 54% e al Centro al 45 per cento.
Le misure rinnovate nel Dl Sostegni bis non cambiano l’impianto messo a punto quasi un anno fa con l’unica differenza che ora le Regioni potranno accordarsi con la Sanità privata accreditata per recuperare parte delle cure saltate. Per il resto il piano è molto semplice: i fondi serviranno alle Regioni per pagare gli straordinari al personale sanitario da impiegare in questo lavoro extra di recupero delle prestazioni (80 euro lordi l’ora per le prestazioni aggiuntive dei medici e 50 euro per gli infermieri) oltre a consentire la possibilità di reclutare personale, attraverso assunzioni a tempo determinato o forme di lavoro autonomo, oppure di assumere personale attraverso contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
Del resto la montagna di prestazioni saltate da provare a scalare è altissima. Cure rimandate che nei prossimi mesi o anni potrebbero presentare un conto salatissimo in termini di tante diagnosi mancate e centinaia di migliaia di malati aggravati.Questo maxi-taglio di milioni di prestazioni è stato recentemente calcolato con esattezza dall’Agenas, l’Agenzia dei servizi sanitari regionali e dalla Scuola Sant’Anna di Pisa, che hanno appena messo in fila le schede di dimissione ospedaliera dalle quali risulta che tra gennaio e giugno 2020 ci sono stati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente oltre 1,2 milioni di ricoveri in meno (da 4,3 a 3 milioni), mentre le prestazioni di specialistica ambulatoriale sono scese da 170milioni a 118 milioni (-50 milioni).
Ora la palla torna di nuovo alle Regioni: alcune si stanno muovendo come il Veneto che proprio in questi giorni ha varato un «piano operativo» per le sue Asl, mentre la Toscana che dei suoi 30 milioni ne ha già spesi 17 sta pensando a come impiegare i restanti 13.
Il rischio comunque di nuovo è che il tema venga presto accantonato o congelato, complice l’estate e l’abbassamento della tensione sul Covid che dovrebbe invece tramutarsi in una forte spinta a occuparsi dell’altra Sanità. Anche perché per molti osservatori già nel prossimo autunno potrebbero presentarsi nuove ondate del virus, magari meno forti di quelle dei mesi scorsi grazie alle vaccinazioni. Ma un impatto sul Ssn è quasi scontato ci sia. Per questo lo stesso Speranza ha annunciato che vigilerà di più su cosa faranno le Regioni per le liste d’attesa: il ministero «parallelamente all’azione di monitoraggio già intrapresa, ha chiesto a ciascuna Regione una puntuale relazione sullo stato dell’arte e sulle criticità riscontrate, che saranno – promette il ministro – oggetto di ulteriori interventi».