di Michele Bocci, Repubblica. Lo stato di emergenza verrà prorogato, forse addirittura fino a dicembre. Il 31 luglio non si chiuderà quindi la stagione dei Dpcm (ormai peraltro rari) e delle strutture straordinarie dedicate alla lotta al coronavirus, come negli ultimi giorni era stato ipotizzato, più o meno apertamente, da ministri e sottosegretari. Non ci sarà neanche bisogno di soluzioni normative particolari per prolungare comunque l’incarico al commissario straordinario, generale Francesco Figliuolo, altra cosa che era stata prospettata per mantenere in sella il responsabile della campagna vaccinale con la fine formale dell’emergenza. Anche il Cts, ad esempio, resterà così al suo posto. Non ci sono invece legami tra la proroga e l’eventuale cambiamento delle norme che regolano l’uso delle mascherine o dispongono le misure anti contagio. Queste potrebbero comunque essere cambiate in senso meno restrittivo.
Da Palazzo Chigi, non senza una certa irritazione, frenano le varie fughe in avanti, tra le quali una è stata del ministro alla Salute Roberto Speranza, che aveva detto di augurarsi un mancato rinnovo «per dare un segnale positivo al Paese». Si prospetta invece una proroga da formalizzare prima del 31 luglio, giorno in cui scadrà lo stato di emergenza. L’unico dubbio è sui tempi, ma appunto si sta anche ipotizzando di arrivare fino alla fine dell’anno. Del resto alla presidenza del consiglio non considerano affatto risolta la partita. Intanto la campagna vaccinale, che comunque procede a buon ritmo, non è ancora arrivata a una copertura tranquillizzante. In più c’è anche la partita del richiamo di AstraZeneca agli under 60 che rischia di creare alcuni rallentamenti, anche se Figliuolo si dice certo che saranno evitati. Poi c’è la grande incognita della variante Delta, la ex “indiana” che preoccupa molto per quello che sta provocando in Inghilterra: un aumento dei casi malgrado la alta copertura vaccinale.
A proposito della questione Astra-Zeneca, i medici dicono che non ci devono essere obblighi sul richiamo: «Decidiamo noi caso per caso». Allo stesso tempo, agli hub si presentano persone che chiedono di non fare la seconda dose con Pfizer o Moderna. La questione del mix di vaccini non è ancora del tutto chiusa. È stato sì risolto il caso Campania e l’Aifa ha ufficializzato la possibilità del cambiamento ma resta il nodo di chi non vuole proseguire con AstraZeneca. In quanti si oppongono al mix? Si possono fare stime sui dati del Lazio. Qui i contrari sarebbero tra il 4-5%. A livello nazionale significa 40-50mila persone. «Non possiamo negare a chi chiede di proseguire il trattamento con un vaccino che alla seconda dose non provoca problemi questa possibilità», dice l’assessore alla Salute del Lazio, Alessio D’Amato. Anche l’Emilia si sta preparando a dare la possibilità di fare AstraZeneca come seconda dose. Intanto si segnalano casi di persone che rifiutano il cambio in Veneto e in Sicilia.
Nella circolare del ministero si dice che il ciclo degli under 60 che hanno fatto AstraZeneca come prima dose «deve essere completato con una seconda dose di vaccino a Rna messaggero». Quel deve non piace ai medici. «Il mix non può essere un obbligo, decidiamo noi, caso per caso, quale vaccino dare». A parlare è il presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli. «Tutte le indicazioni di Aifa e le raccomandazioni del ministero devono essere tarate sulle caratteristiche del singolo paziente. E quello lo può fare solo un medico. Il cittadino ha diritto di chiedere AstraZeneca come seconda dose e il medico deve fare la sua scelta. Non siamo più in una fase di emergenza con un solo vaccino a disposizione ma abbiamo più armi a disposizione».
Come detto, sarà comunque molto più diffusa la sostituzione. Questo mette in difficoltà alcune Regioni, che hanno scorte scarse di vaccini a Rna messaggero. «Abbiamo dato supporto nelle riprenotazioni andando a bilanciare in 11 Regioni con la riserva strategica», ha spiegato Figliuolo, ribadendo che proverà a chiedere più vaccini per l’estate, o anche un anticipo delle consegne da parte delle case farmaceutiche, ma che comunque il piano italiano resta sostenibile.