«L’Italia presenta squilibri eccessivi». Nelle raccomandazioni economiche che domani la Commissione europea presenterà ufficialmente, la parte che riguarda il nostro Paese inizia con questa frase. Come al solito, il faro di Bruxelles punta tutto sul debito pubblico. E insieme ad esso pone sotto osservazione anche il mercato del lavoro e il sistema delle banche. Nel complesso un giudizio per niente positivo. Anzi, le note dolenti non mancano.
Certo, siamo in buona compagnia. Per quanto riguarda i conti di finanza pubblica l’Italia è in un plotone composto da una dozzina di partner dell’Unione. Ma soprattutto il “pacchetto di Primavera” dell’esecutivo europeo quest’anno ha assunto una dimensione e un profilo “sui generis”. Il motivo è molto semplice: il Covid. E le conseguenze che ne sono derivate. La sospensione del Patto di Stabilità e l’avvio del Recovery Fund. Non a caso nella versione 2021 delle “pagelle” primaverili, oltre alle indicazioni generali, figurano solo gli orientamenti di politica di bilancio. Tutto il resto è rinviato. In particolare mancano i target. Ossia non ci sono gli obiettivi che ogni singolo Paese avrebbe dovuto raggiungere nell’anno e che sistematicamente sottoponeva lo Stato manchevole al rischio della procedura d’infrazione.
Per l’Italia, ad esempio, il rischio si concentrava costantemente sul Debito e sugli OMT (Obiettivi di Medio Termine) che nelle manovre correttive di giugno-luglio si sostanziavano con tagli alla spesa. Stavolta questa procedura è stata bypassata. Per la situazione eccezionale che il mondo sta vivendo e perché con il Patto di Stabilità sospeso, gli obiettivi non potrebbero essere tarati. E anche perchè le aspettative riposte sul NextGenerationEu sono straordinarie.
Però, il giudizio sulla attuale situazione complessiva – ossia sulla politica di Bilancio – non viene cancellato. «Le vulnerabilità – scrivono i Commissari – riguardano l’elevato debito pubblico e la protratta debole dinamica della produttività, che hanno rilevanza transfrontaliera in un contesto di fragilità del mercato del lavoro e del settore bancario».
Insomma è una sorta di warning preventivo. Che non si basa sul lavoro fin qui svolto dal governo Draghi. Da troppo poco tempo è in carica l’esecutivo italiano. Si tratta semmai di una fotografia dell’esistente. E della speranza implicita che il Pnrr possa correggere la traiettoria dei conti pubblici e dell’economia italiana. Non a caso si sottolinea che «il debito pubblico è cresciuto nettamente nel 2020 riflettendo la caduta del Pil e si aspetta che venga ridotto solo nel 2022».
Anzi, il contesto in cui vengono formulate le raccomandazioni fa emergere l’importanza del Recovery Fund. La necessità inderogabile di sfruttare fino in fondo quelle risorse secondo i tempi prestabiliti e nelle condizioni pattuite. Cioè rispettando gli impegni alle riforme strutturali contenute nel Pnrr del governo italiano.
Non solo. Il Documento della Commissione può essere considerato una sorta di primo atto ufficiale del dibattito che accompagnerà l’Ue nei prossimi mesi: sulla revisione e ulteriore sospensione dello stesso Patto di Stabilità. In queste raccomandazioni, infatti, c’è la conferma ufficiale che almeno fino al 31 dicembre 2022 non ci potrà essere un ritorno alle vecchie regole. Troppi i Paesi che alla fine di quest’anno non avranno recuperato gli indici di Pil precedenti la crisi del Covid. Troppe le variabili incalcolabili e troppe le incognite anche sulle varianti del virus. Ma il futuro delle regole europee in questo modo entra nel cuore del confronto tra i 27. Che poi raggiungerà il suo acme in autunno, dopo le elezioni tedesche. Dopo aver capito chi sarà il nuovo Cancelliere o Cancelliera. E dopo aver constato le risposte dei mercati alla nuova iniezione di liquidità e aver verificato, appunto, se gli Stati – come il nostro – stanno usufruendo correttamente del Recovery Fund. E infatti il riferimento alle riforme è implicito in una un’altra osservazione: l’indice di produttivà, pur essendo cresciuto l’anno scorso, sul lungo periodo è bloccato «dalle barriere agli investimenti pubblici e privati e dai limiti alla crescita di gran parte delle aziende». La conseguenza è che l’occupazione rimane sotto la media europea. E tutti questi fattori soffocano le «potenzialità» del nostro Paese e impediscono un maggior controllo del debito.
Un ultimo allarme è per le banche. Il cui sistema si era rafforzato e si era rivelato «resiliente» prima della pandemia. «Le vulnerabilità però restano». In particolare i non-performing loans (i crediti non esigibili) si erano ridotti di recente «ma restano relativamente alti e il rischio potrebbero aumentare un volta che le misure temporanee a supporto saranno dismesse ». Il sistema-Paese è avvertito.