Il Sole 24 Ore. Con un aumento di pensionamenti dell’8,4% nel 2020 rispetto al 2019 continua la corsa all’uscita dal pubblico impiego, favorita anche da Quota 100. A fotografarla è l’Osservatorio sulle pensioni dei travet pubblicato dall’Inps, che mette in evidenza come a inizio 2021 risultino erogati ai lavoratori della Pa 3.029.451 di trattamenti, l’1,3% in più sui 2.990.412 registrati l’anno precedente (tenendo anche conto di quelli cessati). E di questa massa non trascurabile di assegni pensionistici, che ammonta a 76,7 miliardi di euro (+2,2% sul 2019), il 58% (1.757.848) è riconducibile a pensioni di anzianità o anticipate, alle quali in gran parte ricorreranno a settembre anche gli oltre 42mila lavoratori in uscita dal comparto scuola, pur senza mostrare una particolare attrazione verso il canale introdotto dal governo ”Conte 1” per i pensionamenti con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi.
A rendere evidente la propensione degli ”statali” alla pensione prima del raggiungimento dei requisiti di vecchiaia è anche l’andamento dei pensionamenti nel 2020. Lo scorso anno gli assegni anticipati agli ex dipendenti pubblici sono state 98.453, ovvero oltre la metà del totale (il 54,9%), e hanno assorbito più del 62% della spesa, mentre quelli liquidate al raggiungimento della soglia di vecchiaia (67 anni) sono state appena 33.428: il 18,7% di tutte le pensioni erogate nella Pa. I trattamenti di inabilità liquidati si sono fermati a quota sono stati 4.787, quelle ai superstiti da assicurato 4.035, mentre le pensioni liquidate ai superstiti da pensionato pubblico 38.527, pari al 21,5% del totale. A mantenere elevato il ricorso al pensionamento “veloce”, oltre a Quota 100, è anche la possibilità di uscita d’anzianità con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne) a prescindere dal requisito anagrafico, che tra l’altro fino al 2026 resterà sganciata da aumenti legati all’aspettativa di vita.
L’importo medio mensile delle pensioni in essere è di 1.948 euro lordi. Il 58,6% dei trattamenti è erogato dalla Cassa trattamenti pensionistici ai dipendenti dello Stato (Ctps), seguita dalla Cassa pensioni dei dipendenti degli enti Locali (Cpdel) con il 38%, mentre le altre Casse assorbono solo il 3,4% del totale. L’importo medio mensile percepito dai dipendenti dello Stato è di 2.032 euro lordi, che scende a 1.631 euro per quelli degli enti locali. Il picco viene raggiunto con i trattamenti della Cassa pensioni sanitari con trattamenti medi di 4.634 euro lordi. A livello territoriale con il 40,7% degli assegni e il 39,3% della spesa le pensioni nella Pa sono concentrate al Nord d’Italia. E a usufruirne sono soprattutto le lavoratrici: il 59,2% del totale dei trattamenti pensionistici è infatti erogato a dipendenti pubbliche, contro il 40,8% liquidato agli uomini.
Nella scuola, come detto, si conferma un turn-over piuttosto sostenuto con oltre 42mila uscite complessive a settembre 2021, un dato più o meno in linea con quelli degli ultimi anni. Quota 100, quindi, non ha sfondato nel settore, anche, probabilmente, per le decurtazioni di stipendio (l’istruzione ha salari piuttosto bassi), e neppure per i timori legati al Covid-19. Alla data del 20 maggio, Inps e ministero dell’Istruzione hanno comunicato di aver definito il 95% delle certificazioni del diritto alla pensione in relazione alla platea interessata. Si tratta di 42.204 nominativi totali: 31.873 sono docenti; 9.235 personale tecnico-amministrativo, gli Ata; 581 sono insegnanti di religione; 406 presidi; 109 personale educativo.
L’obiettivo, fanno sapere da Inps, è consentire agli aventi diritto l’erogazione del trattamento pensionistico con decorrenza 1° settembre 2021, senza soluzione di continuità rispetto all’ultimo stipendio. Il dato del turn-over è importante e si lega al maxi piano di 70mila assunzioni appena varato con il decreto Sostegni bis, e che prevede un mix tra procedure ordinarie e “nuova sanatoria” per coprire le cattedre vacanti.