Il Corriere del Veneto. Professor Andrea Crisanti, lei è il direttore della Microbiologia di Padova e il «papà» dell’intuizione «tamponi anche agli asintomatici». La puntata di «Report» dedicata alle presunte mancanze della Regione nel gestire la seconda ondata della pandemia, prima fra tutti l’aver trascurato la sua denuncia sull’inaffidabilità dei test rapidi, ha sollevato un polverone.
«Ma perché? Sono sorpreso, non ho detto nulla, ho semplicemente parlato dei risultati di un accertamento diagnostico da me condotto all’ospedale di Padova e che dimostra come i test antigenici rapidi non intercettino il 30% dei positivi».
Luciano Flor, direttore generale della Sanità regionale ed ex dell’Azienda ospedaliera di Padova, dice che questo studio non esiste.
«Il 21 ottobre 2020 io l’ho consegnato a lui, all’allora direttore sanitario Daniele Donato e alla responsabile della Prevenzione in Regione, Francesca Russo. Dico di più: la ricerca ha ottenuto il via libera dal Comitato etico dell’Azienda ospedaliera e quindi è stato inviato a una rivista scientifica. Siamo al preprint (l’ultima bozza prima della pubblicazione, ndr ) ma da allora non ho mai ottenuto risposta».
Ha ricevuto l’avviso della segnalazione per diffamazione del Servizio Sanitario regionale depositata da Azienda Zero in Procura a Padova?
«No, se e quando accadrà mi difenderò nelle sedi opportune, ma sono esterrefatto. E’ dai tempi di Galileo che un articolo scientifico non costituiva un reato d’opinione. In ogni caso se qualcuno deve rispondere del proprio comportamento è proprio Flor, che nel fuori onda diffuso da Report dichiara il falso (il dg confida all’intervistatore: «Perché pensa che mi sia affrettato a dire che lo studio non c’è? La ditta ci fa causa e ci chiede i danni, quindi meglio dire che non c’è», ndr ). Sulla vicenda si deve pronunciare la magistratura, sono contento che indaghi».
Anche su di lei?
«Certo, spero prenda sul serio la segnalazione di Azienda Zero, così si farà chiarezza. Anche se, ripeto, non posso non sottolineare l’unicità del fatto: è la prima volta dal 1633 (quando Galileo fu processato dal Santo Uffizio, ndr ) che la magistratura è chiamata a decidere se uno studio scientifico costituisca o meno diffamazione».
Lei è sicuro del risultato della ricerca?
«Certo, i dati prodotti sono esatti e la mia è una convinzione scientifica, non politica».
Perché non ha segnalato all’Aifa o al ministero della Salute la scarsa affidabilità dei tamponi rapidi?
«Non sono loro i miei diretti interlocutori, ma l’Azienda ospedaliera e la Regione, che infatti ho informato. Dovevano essere loro ad allertare i livelli superiori del sistema, avendo in mano un documento che evidenziava un’affidabilità dei test antigenici limitata al 70%. Non mi pare un reato di opinione o diffamazione».
Il problema è che il suo studio inascoltato è stato collegato all’impennata di decessi registrati nel Veneto nella seconda ondata pandemica.
«La scienza diventa diffamazione se non è allineata al pensiero di chi governa? I cittadini avrebbero bisogno di più persone come me, emblema di una scienza che dev’essere indipendente, sennò non è scienza».
Si sente un po’ Galileo?
«Non mi sento degno del paragone, se non per dire che da quei tempi la scienza non è più stata trascinata in tribunale. Peccato non si possa accostare la controparte a Roberto Bellarmino (il cardinale che nel 1616 ammonì Galilei di non discutere o insegnare le teorie di Copernico, ma che ammise di non poter escludere a priori l’attendibilità della teoria eliocentrica, ndr )».