La Stampa. Poi tutti hanno frenato, e bruscamente, ma per un’ora e mezza il Palazzo è stato ostaggio di una schizofrenia senza precedenti nella storia della Repubblica, visto che la Camera aveva appena approvato, tra applausi a scena aperta, qualche ciglio bagnato e a larghissima maggioranza, il poderoso Recovery plan, il nuovo Piano Marshall al quale il presidente del Consiglio affida il «destino» del Paese. Ebbene pochi minuti dopo, sullo stesso palcoscenico, l’aula di Montecitorio, è andata in scena una plateale, pubblica dissociazione della Lega e di Forza Italia, che non hanno partecipato al voto sull’ordine del giorno Meloni sull’orario di apertura dei ristoranti, che è stato respinto con i voti di Pd, Cinquestelle e Leu.
Per un’ora di coprifuoco in più o in meno il governo ha ballato pericolosamente e tutto questo appena 90 minuti dopo aver festosamente approvato l’epocale Recovery.
Una schizofrenia tale che dietro le quinte i principali protagonisti hanno sfiorato la rissa verbale. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, che si era trasferito al Senato per il dibattito-bis sul Recovery plan, è stato aggiornato sulla novità dell’ultima ora: Matteo Salvini vuole una data precisa per portare l’apertura dei ristoranti dalle 22 alle 23. La risposta di Draghi ai suoi, il sottosegretario Roberto Garofoli e il ministro pentastellato Federico D’Inca, è stata chiara: «Sulla data non cambiamo idea: sulla base dei dati si deciderà che fare a metà maggio. E quanto alla Lega, troviamo un’intesa». E così sulla base del mandato ricevuto da Draghi e dopo una lunga trattativa che ha visti impegnati Dario Franceschini e il capo della delegazione leghista Giancarlo Giorgetti, finalmente si trova un accordo: alla Camera il governo si presenterà con un testo nel quale si annuncerà che il governo è pronto a decidere «nel mese di maggio», la revisione degli orari di chiusura, naturalmente sulla base dei dati in via di aggiornamento.
Il piccolo miracolo sembra compiuto: Salvini è dentro l’accordo. E qui è sopraggiunto lo scarto. Il capo della Lega ha dichiarato alle agenzie che l’aveva spuntata. Che il coprifuoco era superato. E a quel punto il sistema è andato in tilt. Nella riunione tra i capigruppo parlamentari di maggioranza sono volate parole grosse. Scambi accesi, culminati nella battuta di Nico Stumpo di Leu, che sostituiva Federico Fornaro. Rivolto verso il capogruppo di Forza Italia Roberto Occhiuto, Stumpo ha detto: «Scusate ma i vostri ministri, a differenza di quelli della Lega, in Consiglio dei ministri hanno votato il provvedimento sulle riaperture. Ma questa è l’ultima volta! Non si scherza col fuoco, così si rischia di mettere in crisi il governo».
Bersaglio ben mirato. In una delle giornate più confuse della recente storia parlamentare, hanno brillato per l’assenza, o per la divisione, due partiti: Forza Italia e Cinque stelle. La prolungata assenza di Silvio Berlusconi, sulla quale nessuno specula ma che dura da settimane, incide e ieri si è manifestato uno sbandamento inatteso: dopo la riunione riservata con Salvini, i forzisti hanno aderito alla linea leghista: non votare il testo che demandava lo sblocco del coprifuoco. E quanto ai Cinque stelle, in una giornata così calda, nessuno ha visto Di Maio e tutta la partita è stata nelle mani del ministro per i rapporti col Parlamento D’Incà. A fine serata, Salvini ha frenato ma la giornata si è conclusa con un grosso punto interrogativo su quella che si apre. Oggi si discute la mozione di sfiducia al ministro della Salute Roberto Speranza presentata da Fratelli d’Italia. Salvini, ancora ieri sera, faceva il vago: «Come voterà la Lega? Non lo so ancora, ne parlerò con Sileri». E cioè con il sottosegretario alla Salute che negli ultimi giorni non ha risparmiato critiche al titolare del suo dicastero. Difficile tirare la corda una volta ancora senza spezzarla. Ma ieri chi ha parlato con il presidente del Consiglio assicura di averlo visto deciso e irremovibile su quanto già deciso. Ma anche sorpreso e genericamente preoccupato per turbolenze che capisce ma alle quali non è abituato. –