di Aldo Grasselli. Anche la medicina veterinaria pubblica ha il dovere di interrogarsi costantemente sulla sua attualità, sui suoi punti di forza e sui suoi punti deboli. Lo fanno in questi mesi i medici chirurghi che hanno scoperto la loro impotenza davanti a un virus e lo fa la politica impostando il recovery plan e prevedendo un massiccio investimento sul tema “salute” che comporta circa 40 miliardi di risorse fresche per il SSN.
Dove andranno queste risorse, serviranno a colmare i divari tra le regioni, a rendere più efficace la prevenzione, a ridurre le liste d’attesa e a dare più tutele ai cittadini?
Non è detto. La spesa può essere enorme ma può non essere buona. In Italia lo testimoniano le disastrose condizioni di molte infrastrutture che hanno dissanguato l’erario: le autostrade finte in un campo di grano o crollate come a Genova, in generale le incompiute, le opere pubbliche regalate alle mafie, il clientelismo e la corruzione nella pubblica amministrazione, le croniche disavventure di Alitalia, nel loro piccolo “i navigator” e le mascherine a prezzo di gioielleria.
40 miliardi di euro sono un bolo di vitamine che il SSN non vedeva da decenni. Dove andranno a finire?
In primo luogo è bene ricordare che non è assolutamente il caso di illudersi che con l’aumento delle risorse da spendere si risolvano i problemi storici della sanità.
Non è detto che si realizzi una allocazione saggia (il debito buono di Draghi). Men che meno sarà possibile immaginare che la medicina veterinaria pubblica possa beneficiare di risorse se, nella prevedibile contesa, non avrà argomenti solidi per negoziare la quota appropriata ai suoi bisogni e ai suoi progetti di innovazione.
In campo medico ospedaliero, manageriale e politico si sono affacciate diverse letture del contesto di crisi e nuovi punti di vista in un dibattito che comincia a delineare qualche idea per il futuro.
Nel mondo della prevenzione, e in particolare della medicina veterinaria preventiva, questo bisogno di auto analisi e di riprogettazione non è ancora abbastanza forte da avviare il confronto costruttivo necessario.
Sono invece convinto che siano maturate nelle coscienze degli operatori della prevenzione, e tra noi veterinari per il nostro specifico, molte interessanti e preziose proposte, con alla base una chiara convinzione: la pandemia ha messo a nudo le criticità del Ssn partiamo da queste criticità stabilendo un ordine di priorità decidendo con il confronto i cambiamenti che servono.
Le intenzioni di cambiare non sono mai mancate, spesso come naturale reazione a insoddisfazioni soggettive di varia natura. Ma il cambiamento può essere una aspirazione ideale da mantenere tale e da non agire se, tutto sommato, la “comfort zone” non è poi così deprimente.
C’è differenza tra il dire e il fare. E anche nell’ipotizzare un cambiamento si possono trovare strade diverse e a volte non convergenti.
La visione politica propone un cambiamento profondo della sanità pubblica, quindi anche “strutturale” di stampo chiaramente riformatore che si esprime sia sul versante delle Regioni sia su quello statale con posizioni divergenti o parzialmente divergenti. A questa si deve però associare una forte spinta a rivoluzionare la pubblica amministrazione impressa dal Recovery Plan e dal Ministro Brunetta che potrà avere impatti immediati anche sul personale e sulla impostazione organizzativa del lavoro.
Esiste poi una riflessione più interna al Ssn, più tecnica e conservatrice – forse poco visionaria o rinunciataria – che immagina non sia praticabile una rivoluzione del sistema e che propone una sorta di riorganizzazione dell’esistente, o di razionalizzazione, senza guardare a sfide e bisogni nuovi con il respiro necessario che la pandemia ci ha indicato.
Esiste infine una terza grande famiglia, che definirei identitaria, per la quale è impossibile mettere in discussione lo status quo, le attuali performance e l’attuale strategia – anche quelle della prevenzione e della sanità pubblica veterinaria – perché essa rappresenta la propria storia lavorativa e la propria identità, professionale e dirigenziale, locale, regionale o ministeriale. Si tratta in questo caso di un tabù, di un cortocircuito logico. Una tautologia fasulla che nasce dal principio ideologico “il nostro SSN è il miglior sistema sanitario del mondo”, ergo: ciò che è perfetto non deve essere perfezionato. Con buona pace di tutti.
Occorrono invece riflessioni articolate, analisi serie e prospettiche perché ci siano date le condizioni di fare bene la nostra parte.
Cari colleghi, esprimetevi! Tirate fuori le vostre idee, fate proposte, criticate i modelli che non vi fanno lavorare bene, mettete nero su bianco le vostre soluzioni.
Serve anche tutta la nostra intelligenza per dare un contributo al cambiamento necessario alla nostra sanità pubblica.
Il forum della medicina veterinaria preventiva è aperto …