La Stampa. «Sono ottimista perché siamo entrati in una straordinaria congiunzione astrale», confida Renato Brunetta, ministro del governo Draghi per la Pubblica amministrazione. Spiega: «Abbiamo oggi la concreta possibilità non solo di metterci alle spalle la pandemia, ma di uscirne meglio rispetto a come ci eravamo entrati. Cioè più forti, più coesi, più attrezzati ad affrontare il futuro. Guai a perdere questa irripetibile occasione».
Non teme, ministro, che dire «ora o mai più» possa suonare retorico alle orecchie di un Paese stremato?
«No, perché questo è il momento. Aprile può essere il mese della svolta. Se riusciremo a vaccinare 500 mila persone al giorno, entro l’estate saremo sostanzialmente fuori dalla pandemia. Con la guardia alzata e tutte le precauzioni richieste; però siamo all’uscita dal tunnel. E non è tutto».
Che altro vede di positivo?
«C’è un forte rimbalzo del Pil. Il prodotto nazionale ha ripreso a crescere del 4-5 per cento, un cambio di passo che non si vedeva dai tempi del “boom”. Certo, veniamo da un anno tragico per l’economia, ma questa impennata di cui poco si parla è il segnale che cambiano le aspettative. Lo prova anche l’aumento record dell’Indice Pmi della manifattura, che rileva i cambiamenti di variabili come produzione e nuovi ordini: a marzo è salito al massimo livello degli ultimi 21 anni. Stiamo ritrovando fiducia in noi stessi. Il tasso elevato di crescita è l’altra faccia del nuovo piano vaccinale: famiglie e imprese cominciano a credere che davvero potremo farcela. In più aggiungo il fattore politico, perché gioca a nostro favore».
Da che punto di vista?
«Abbiamo un governo che è sostanzialmente di unità nazionale, se si esclude la bravissima Giorgia Meloni. Non voglio parlarne perché sarei in chiaro conflitto di interessi. Ma a guidarlo c’è il leader migliore che la Repubblica potesse mettere in campo, Mario Draghi. La cui credibilità, se ci guardiamo intorno, non ha eguale al mondo. Con la statura giusta per farci valere in un’Europa non più matrigna, che finalmente ha scelto di indebitarsi nel nome della solidarietà. Quest’anno abbiamo la presidenza di turno del G20, la tribuna ideale per far conoscere quello che l’Italia intende fare per salvarsi dal baratro e come sta già guardando al Next Generation Eu, con tutte quelle riforme che aspettavamo dal dopoguerra e finalmente potremo mettere in cantiere. Ecco perché dico: questa è la volta buona».
Per lei, Brunetta, si annuncia l’impresa di gran lunga più disperata: ammodernare la burocrazia che è sempre stata la nostra palla al piede.
«Già, me lo dicono in molti con tanto di pacca sulla spalla, in segno di solidarietà e compatimento. Ma io la penso come il capo dello Stato. Se vogliamo cogliere l’opportunità della crisi per andare oltre, bisogna mettere al centro i volti della Repubblica. Che sono i medici, gli infermieri, gli insegnanti e le forze dell’ordine. Tutti insieme rappresentano oltre due terzi dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici, cui vanno aggiunti i cosiddetti burocrati, da non confondere con la cattiva burocrazia. È il capitale umano da cui ripartire valorizzandolo, restituendogli orgoglio, autorevolezza, dignità. Non possiamo parlare di “medici eroi” senza dare loro il giusto riconoscimento economico. O far tornare i giovani dall’estero senza premiare il merito».
Scusi, Brunetta, ma lei non è lo stesso ministro che 13 anni fa dichiarava guerra ai cattivi dipendenti pubblici definendoli «fannulloni»?
«Certamente sì. Io non sono cambiato e anzi rivendico tutto quanto feci in quella mia prima stagione, le considero due facce della stessa medaglia. Ai tempi del governo Berlusconi feci una dura battaglia per mettere la PA al servizio dei 60 milioni di italiani e non viceversa, avendo dalla mia parte la stragrande maggioranza dei cittadini e contro un certo numero di benpensanti conservatori tanto a destra quanto a sinistra. Ripeto: rifarei tutto».
Il clamore fu grande, l’esito controverso…
«Lei dimentica un dettaglio: il momento storico. La crisi finanziaria che ci costrinse a bloccare il rinnovo dei contratti. Quella riforma non ebbe il carburante economico. Come avere una bellissima automobile senza poi i soldi per la benzina».
Ecco, a proposito, stavolta le risorse ci sono o no?
«Oggi le abbiamo. E con onestà devo riconoscere che il merito è dei precedenti governi, i quali hanno “appostato” le somme necessarie. La mia prima decisione da ministro è stata di riprendere il negoziato sindacale per il nuovo contratto del pubblico impiego. E subito abbiamo siglato un Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale».
Nel centrodestra, da cui lei proviene, il dialogo sociale non è stato mai una specialità della casa…
«Perché, scusi, c’è qualcuno che oggi desidera lo scontro sociale? Questo passaggio storico a me ricorda un altro patto coi sindacati, che all’epoca del governo Ciampi nel ’93 ci consentì di restare in Europa e di entrare nella moneta unica. Da giovane economista lavorai per raggiungere quel traguardo; 28 anni dopo, da ministro, faccio mio l’appello del presidente Mattarella alla condivisione e alla coesione. Il Patto del 10 marzo scorso vuole metterci nella condizione di incassare e poi di spendere i quasi 200 miliardi del Recovery Fund. Occorre un grande processo di semplificazione delle norme burocratiche e di reclutamento del capitale umano necessario per rinnovare le competenze di una PA che, nell’ultimo decennio, è stata desertificata dal blocco del turnover e dai pensionamenti. Abbiamo bisogno di procedure semplici e di figure professionali adatte: ingegneri, informatici, economisti, manager».
Quanta gente pensate di assumere per dare corso al Recovery? Ha fatto una stima?
«Dare numeri adesso non sarebbe serio. Prenderemo tutti quelli che saranno necessari, né di più né di meno».
Con contratti a termine?
«Sì, ma di cinque anni e finanziati dagli stessi progetti che si andranno a realizzare. Per il reclutamento sto allestendo un portale fortemente innovativo, procederemo con grande velocità e trasparenza. È di due giorni fa una piccola ma significativa rivoluzione: nei concorsi pubblici basta carta e penna, saranno digitalizzati dall’inizio alla fine. Parallelamente è in preparazione un decreto di accompagnamento e anticipazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ne stiamo ragionando col presidente Draghi».
Di che si tratta, ministro?
«L’idea è di mettere in campo il prima possibile alcune riforme necessarie per accompagnare e implementare i progetti finanziati dall’Europa. Non puoi puntare alla transizione digitale e ambientale se non intervieni prima su semplificazione, reclutamento e governance. È ciò che intendiamo fare a strettissimo giro rilanciando la macchina pubblica».
Riformare lo Stato: lei, Brunetta, parla quasi da socialista.
«Io sono sempre stato socialista. E milito in Forza Italia, partito liberale di massa come voluto da Berlusconi. Credo in un sistema privato efficiente e in uno pubblico altrettanto efficiente, il meglio dei due mondi».
Visto che cita Forza Italia: come si trova lei gomito a gomito con grillini e “comunisti”?
«Sono in un governo di unità nazionale dove non ci sono né centrodestra né centrosinistra. C’è un’unica fondamentale “mission”: salvare e riformare il Paese. Alla sintesi provvede Draghi con un equilibrio da par suo. Vuole la mia previsione?»
Ecco, appunto.
«Questa è un’esperienza destinata, se avrà successo, a rivoluzionare la nostra geografia politica. Nulla sarà più come prima».
Cosa potrà accadere?
«Un grandissimo rimescolamento. Molte cose cambieranno; alcune anzi sono già cambiate se è vero che, sostenendo il governo Draghi, la Lega ha scelto di abbracciare l’atlantismo e l’europeismo. Ma non mi chieda altro. Qualunque sia la futura mappa politica, adesso l’unica cosa importante è far nascere la nuova Italia e sanare la ferita che si è aggravata tra due parti del corpo del Paese: i garantiti e i non garantiti. Un corpo spezzato muore. La mia missione è rilanciare la macchina pubblica per metterla, con dignità e onore, al servizio dei cittadini. E che Dio ce la mandi buona». —