Repubblica. Roberto Fumagalli è direttore del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale Niguarda e professore all’università Bicocca di Milano. Da oltre un anno è in prima linea nei reparti dove ci sono i malati più gravi.
Com’è la situazione delle terapie intensive?
«Siamo in decisa sofferenza. Il carico che abbiamo oggi dipende dagli accessi ai pronto soccorso di 7-14 giorni fa. Nella nostra regione ci sono quasi 900 posti letto occupati da pazienti Covid nelle terapie intensive, potremmo arrivare a quota mille nelle prossime settimane».
E rispetto a marzo dello scorso anno?
«Allora eravamo arrivati a oltre 1.300, ora i numeri sono inferiori.
Se si sommano la seconda e la terza ondata i numeri sono comunque alti spalmati però su un periodo di tempo maggiore. E c’è poi un altro problema tecnico da tener presente. I pazienti che finiscono in terapia intensiva ci rimangono per molto tempo e quindi i posti letto non si liberano in fretta.
Quando abbiamo affrontato la terza ondata ne avevamo 360 occupati. Per questo non possiamo permetterci una nuova risalita a breve».
Ma quindi sulle riaperture cosa dobbiamo pensare?
«È necessario resistere ancora per un po’, speriamo non per molto, ma si deve. I comportamenti virtuosi e le chiusure finora hanno pagato, evitando il picco come lo scorso anno. Purtroppo siamo ancora in una fase di crescita dei ricoveri in terapia intensiva, a fronte di un plateau degli accessi nei pronto soccorso o addirittura una modesta diminuzione. E dal nostro osservatorio vediamo che la situazione non è positiva, finché i numeri non calano non possiamo stare tranquilli. Speriamo che tra una settimana le cose vadano meglio».
Qual è la mortalità dei pazienti che finiscono in terapia intensiva?
«È purtroppo molto alta. Il 36-38 per cento di chi entra non sopravvive. L’anno scorso moriva il 42 per cento».
A cosa è dovuto il lieve miglioramento?
«Ancora non c’è una spiegazione per questo».