Repubblica. Il tono è asettico. I contenuti durissimi. Di fronte ai leader d’Europa, Mario Draghi non alza mai la voce. Ma smonta, pezzo dopo pezzo, l’approccio della Commissione europea all’emergenza. Chiede una scossa. Spiega alla presidente Ursula von der Leyen che senza una svolta, l’Unione non riuscirà a «superare la pandemia». Che serve velocità nel contenimento del virus, ma anche innovazione nella somministrazione del vaccino: una prima dose per tutti, sul modello del premier britannico Boris Johnson. E che bisogna costringere Big Pharma a rispettare gli impegni sulle consegne, anche ipotizzando il blocco dell’export.
Sia chiaro, non è una sfida all’Europa: semmai, una sfida per l’Europa. L’ambizione di Draghi, infatti, è quella di prenderla per mano, sollecitando un cambio di passo da concordare tutti assieme. Ma per riuscire nell’impresa deve vincere molte timidezze della Commissione. E cercare di convincere le altre Cancellerie che la strada percorsa finora rischia di condurre verso il precipizio. Di certo, teme che a finirci sia l’Italia. I numeri fanno impressione con la contrazione dei redditi degli italiani più forte degli ultimi venti anni: nel 2020 il Pil è precipitato dell’8,9%, è saltato quasi mezzo milione di posti di lavoro, le diseguaglianze accresciute, nera la prospettiva per i giovani senza lavoro.
Ormai da giorni neanche il presidente del Consiglio nasconde la preoccupazione per un’epidemia che evolve «in modo imprevedibile». Senza lo scudo del vaccino, l’effetto sarebbe traumatico per l’intero sistema: «Dobbiamo accelerare perché anche l’economia rischia di spegnersi — è la valutazione informale del governo in queste ore — la crisi sanitaria e quella sociale vanno tamponate adesso. Non c’è un prima e un dopo, è la stessa emergenza». Anche perché l’«incertezza» finirebbe per trasformarsi in un paio di mesi in un boomerang per il governo.
La storia può ancora essere cambiata, però. Questo prova a sostenere anche con gli altri leader. Lo fa prima del summit con Merkel e Macron (con cui pure ieri ha avuto una telefonata), poi al tavolo del Consiglio, dove riceve anche le condoglianze per l’attentato subito dalla diplomazia italiana in Congo. La sua è quasi una requisitoria. E non mancano i momenti di attrito con von del Leyen. Quando la presidente mostra le slide delle potenziali consegne, il premier fa notare che potrebbero non bastare. E quando propone il pugno di ferro sull’export, si sente rispondere che la strada potrebbe rivelarsi un vicolo cieco a causa dei contratti. Proprio quei contratti che Draghi vuole invece monitorare passo passo, cercando di costringere i colossi del farmaco a rispettare gli impegni assunti.
Ma il punto su cui si spinge forse più avanti è quello della prima dose per tutti, senza attendere la seconda. Non è quello che per il momento prescrivono i protocolli internazionali, però nel Regno Unito sembra funzionare. La situazione richiede anche qualche mossa coraggiosa, così ritiene, soprattutto se supportata — come ricorda ai presenti — dai recenti studi scientifici. Ma non basta. Siccome l’invito è a procedere «molto, molto più veloci nella campagna di vaccinazione», l’ex presidente della Bce sembra sollecitare la possibilità di valutare insieme se è possibile reperire vaccini anche fuori dal Continente.
Non è l’esordio europeo che aveva immaginato. Ma Draghi è costretto ad esporsi al massimo, perché ha in mente la possibile evoluzione della curva del contagio. È probabile che la nuova variante inglese porti nel giro di poche settimane a colorare di arancione o rosso la quasi totalità del Paese. Marzo e aprile vanno ormai considerati mesi emergenziali per i ritardi accumulati. L’Italia e gli altri partner si troveranno scoperti dall’immunizzazione vaccinale e dunque quasi nudi di fronte alla terza ondata. L’obiettivo, però, è evitare che le mancanze affossino anche il terzo trimestre del 2021.
Tra gli effetti delle prossime inevitabili chiusure, infatti, ci sarà anche quello di costringere il governo a decidere nuovi ristori, indebitando le finanze pubbliche ben oltre l’ultimo sforamento di 32 miliardi.
E d’altra parte, nessuno — a Palazzo Chigi come al ministero della Salute — pensa di dare retta al centrodestra sull’ipotesi di consentire la riapertura serale delle attività di ristorazione nelle regioni gialle. Chi lo chiede, anzi, sembra non aver compreso la posta in gioco nei prossimi due mesi.
Ue contro le case farmaceutiche Passaporto vaccinale, primo sì
Cinque ore di confronto serrato tra i leader europei sui prossimi passi contro il Covid e su come costringere le Big Pharma a rispettare gli impegni sui vaccini. Il decimo vertice Ue in videoconferenza dedicato al Covid si conclude con una forte apertura sui “certificati verdi”, che in estate dovrebbero facilitare i viaggi in Europa. Non c’è accordo sul bando all’export fuori dall’Unione delle dosi prodotte in Europa, anche se ci si aspetta che ora la Commissione di Ursula von der Leyen sarà più severa nelle autorizzazioni. Non c’è invece accordo sull’uso di una sola dose di vaccino per ampliare la platea di immunizzati.
«La situazione epidemiologica — spiega il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel — resta molto difficile». I leader si impegnano a mantenere le restrizioni, specialmente contro le temute varianti. La numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen, garantisce che l’Ue centrerà l’obiettivo di vaccinare il 70% della popolazione adulta entro l’estate, nonostante i ritardi. Nel chiuso del vertice la tedesca viene però attaccata da diversi leader per i contratti e per essersi fidata troppo delle capacità produttive delle aziende. Un tema che non esce pubblicamente: sarebbe controproducente indebolire “l’Eurogoverno” e tutti riconoscono che senza accordi Ue con le Big Pharma i paesi medio- piccoli non avrebbero una sola fiala. Anche Merkel è indebolita perché la scelta di procedere a livello comune sui vaccini è stata sua. Tanto che lei e von der Leyen finiscono sotto attacco nel loro partito in Germania, la Cdu, e in Europa nel Ppe. Taglia corto la cancelliera: «Basta parlare del passato, guardiamo al futuro».
«Le aziende — è stata la conclusione dei leader — devono garantire la produzione dei vaccini e rispettare i termini contrattuali di consegna: dobbiamo accelerare ». Insomma, le Big Pharma finiscono sulla graticola, con Draghi capofila dei critici. Si dà il via libera a von der Leyen e Breton — il suo commissario all’Industria — a negoziare accordi con le Big Pharma per consentire ad altre aziende di produrre i loro vaccini. Diversi leader chiedono di obbligarle a condividere i brevetti, ma von der Leyen frena: «La strada della volontarietà è giusta».
Per mandare un segnale alle aziende diversi leader — a partire da Draghi — chiedono di bandire l’export dei vaccini prodotti in Europa (circa un terzo) di chi non rispetta le consegne nel continente. Ma anche qui von der Leyen, sostenuta da Macron, frena: «Sarebbe controproducente ». Non passa il bando per tutti, ma Bruxelles in futuro sarà più dura nelle autorizzazioni all’export. Un freno.
Un passo avanti più netto arriva sui “certificati verdi”: «Tutti hanno concordato sul fatto che serva un documento digitale comune che certifichi il vaccino», afferma Merkel. La cancelliera — insieme a Macron, Rutte e il belga De Croo — era entrata al summit dubbiosa sull’ipotesi di un lasciapassare Covid. Ma il fronte ampio di Paesi turistici — Austria, Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Bulgaria — spinge per un documento che consenta di ricominciare a viaggiare entro l’estate. L’idea vincente arriva dal greco Mitsotakis, che propone di trasformare il passaporto vaccinale in un documento “verde” che certifichi l’immunità non solo di chi è vaccinato, ma anche di chi ha un tampone negativo o è immunizzato perché ha già avuto il Covid. Inoltre propone che non sia obbligatorio per viaggiare, ma che renda più facili gli spostamenti.
Un modo per superare le perplessità di Macron e Merkel, spaventati dall’idea di limitare il passaporto ai vaccinati, per di più rendendolo obbligatorio per viaggiare, discriminando chi non vuole o non può immunizzarsi.
Il compromesso prevede che Bruxelles avrà tre mesi per lavorarci tecnicamente, mentre gli ambasciatori Ue ne definiranno natura e scopo. Merkel ha comunque invitato i cittadini europei a prepararsi «a una situazione in cui dovremo vaccinarci per anni». Come per l’influenza.