Il Sole 24 Ore. Un cambio di passo sulle restrizioni e sui ristori. Sale di ora in ora il pressing delle forze politiche e dei presidenti di Regione per garantire, nel rispetto delle regole sul contenimento del contagio, indennizzi immediati e la possibilità di far continuare l’attività là nelle aree dove i numeri del Covid lo consentono. Al punto che ieri si sono ritrovati sulla stessa linea del fronte a chiedere al Governo di lasciare aperti i servizi di ristorazione anche la sera (almeno fino al «coprifuoco» delle 22) sia il capo politico della Lega, Matteo Salvini, sia il presidente Pd dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini. Appello raccolto subito anche dal pentastellato e neo ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, secondo cui occorre definire protocolli in grado di garantire la sicurezza delle persone, la salute dei cittadini, ma anche la possibilità per il settore della ristorazione di ripartire.
E il pressing sul Governo delle forze politiche e delle associazioni di categoria è anche più forte sul fronte ristori. Da fine anno ormai gli indennizzi non viaggiano più in parallelo alle chiusure e ai divieti. Per questo nell’ultimo fine settimana i tecnici hanno iniziato a spingere sull’acceleratore per chiudere entro la fine del mese o al massimo il 1° marzo il nuovo decreto ristori (come anticipato sul Sole 24 Ore di domenica). In questo senso si spiega anche la partecipazione del ministro dell’Economia Daniele Franco al vertice di governo sulle nuove misure restrittive, in una cabina di regia che prova a unificare provvedimenti sanitari ed economici. A dettare i tempi del resto è anche il calendario che fissa al prossimo lunedì la scadenza per il pagamento di almeno sette rate (cinque della rottamazione delle cartelle e due del saldo e stralcio) della pace fiscale. Per i circa 1,2 milioni di contribuenti chiamati alla cassa il mancato versamento in unica soluzione delle rate fino ad oggi sospese dai decreti emergenziali del 2020 vorrebbe dire decadere dalla definizione agevolata e tornare a saldare i vecchi debiti gravati di interessi e sanzioni e senza alcuno sconto sulle somme dovute. Per evitare il versamento di non meno di 950 milioni attesi dalle rate sospese, nel nuovo decreto ristori si starebbe ipotizzando un nuovo slittamento da allineare, quanto meno, alla durata dello stato di emergenza oggi fissato al 30 aprile. Lo slittamento in avanti delle rate della pace fiscale si dovrebbe trascinare anche un nuovo rinvio in avanti anche i pignoramenti di stipendi e pensioni.
Dal 1° marzo, poi, scade la sospensione della notifica di oltre 50 milioni di cartelle esattoriali e di atti del fisco. Dall’idea iniziale di un nuovo rinvio si starebbe ora lavorando a una ripartenza diluita nel tempo dell’attività di notifica di questa valanga di atti. L’ipotesi allo studio sarebbe quella di ripartire da dove un anno fa si era interrotta la riscossione coattiva, cercando di diluire nel tempo il recapito delle cartelle in un arco temporale di almeno due anni. Allo stesso tempo per non far decadere i crediti erariali fin qui maturati si punta ad allungare, sempre di almeno due anni, i termini di prescrizione.
Sul fronte riscossione ci sarebbe in cantiere anche un drastico taglio dei crediti ormai ritenuti inesigibili. Si tratta di una quota consistente di quei mille miliardi di ruoli che l’agente pubblico della riscossione non riesce più a recuperare perché intestati a soggetti falliti, defunti o non più in grado di saldare il conto.
L’alleggerimento sul piano fiscale sarà accompagnato, almeno nelle intenzioni, dai nuovi ristori riconosciuti alle attività che nel 2020 hanno registrato un calo del volume di affari e dei corrispettivi di almeno il 33 per cento. Il meccanismo da adottare non è così semplice perché i paletti sono molti a partire dal rispetto dei vincoli imposti da Bruxelles sul regime temporaneo di aiuti. Gli ultimi ritocchi apportati dalla commissione offrono maggiori spazi di intervento e hanno alzato i limiti di aiuti di cui possono beneficiare imprese e autonomi. Ma allo stesso il Temporary Framework impone di calcolare gli indennizzi sui costi fissi non coperti dai ricavi e dunque sulle perdite. Un dato non facile da gestire in tempi rapidi. In alternativa il sistema italiano mette sul piatto la fatturazione elettronica. Ma anche in questo caso i dati andrebbero integrati da quelle voci di costo che non sono registrate nelle fatture passive (affitti o dipendenti).
Nel decreto dovrebbero essere confermati anche l’intervento da 6,7 miliardi per le modifiche al piano transizione 4.0 approvato in legge di bilancio e il rifinanziamento del fondo occupazione da destinare in parte alla proroga della Cig ai dipendenti della ex Ilva, anche questa in scadenza il 28 febbraio.