Il Corriere della Sera.di Milena Gabanelli e Simona Ravizza. La nostra vita quotidiana all’epoca del Covid-19, l’ingresso in zona rossa piuttosto che rimanere in giallo, è condizionata dalla risposta a un interrogativo su tutti: come fare a contenere i danni all’economia senza veder crescere il numero dei morti? A dodici mesi dallo scoppio dell’epidemia, proviamo a capire cosa è successo nei principali Paesi europei, dove ognuno ha fatto a modo suo. Ci aiuta a ricostruirlo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) che ha messo in relazione il Pil con i decessi per milione di abitanti, e l’indice che misura quanto ogni Paese ha fatto per arginare la diffusione del virus, il Covid-19 Stringency Index dell’Università di Oxford. La scala va da 0 a 100, che è il valore massimo di rigore nell’adozione delle misure di contenimento. Gli indicatori presi in considerazione sono nove: dal divieto di spostamento, al blocco delle attività lavorative, fino alla chiusura delle scuole, restrizione delle manifestazioni e raccomandazione di restare a casa.
Il contesto della prima ondata: il ruolo della Lombardia
Il numero dei morti fra la fine di febbraio e maggio in Lombardia, dove in Europa il virus colpisce prima, è più di quattro volte superiore rispetto al resto d’Italia: 1.663 per milione di abitanti contro 366. Al di là di una gestione della pandemia che sicuramente avrebbe potuto essere migliore da parte della Sanità lombarda, questo dimostra che verosimilmente le altre Regioni hanno beneficiato del ritardo con cui sono state colpite grazie al lockdown totale dell’11 marzo, che rallenta in modo significativo la circolazione del virus fuori dalla Lombardia. E anche verso il resto d’Europa. Alla fine della prima ondata l’Italia ha l’indice di contenimento più alto (80), e conta 587 vittime per milione di abitanti. La Francia, indice 74 con 469 decessi; la Spagna 68, con 645 morti, Regno Unito 60, con 609 vittime. Lo stesso indice della Germania, che però ha solo 112 decessi. La Svezia, che ha adottato meno misure di tutti, indice 49, conta 571 vittime. In sostanza: gli altri Paesi hanno potuto permettersi di chiudere dopo e meno di noi, e a eccezione della Germania, che ha uno dei sistemi sanitari più robusti, il numero dei decessi è pressoché simile.
Le differenze della seconda ondata: perché le misure si allineano
Nella seconda ondata il virus riprende forza ovunque più o meno contemporaneamente. Italia e Francia, che avevano chiuso di più la scorsa primavera, cercano soluzioni per limitare i danni all’economia; gli altri, che avevano fatto meno, stringono maggiormente per domare la curva dei contagi. Così da ottobre 2020 al 10 febbraio 2021 il rigore delle misure di contenimento tende ad allinearsi: Italia 74, Regno Unito 72, Spagna e Germania 70, Francia 66, Svezia 63 (ha di nuovo l’indice più basso, ma comunque in crescita rispetto alla prima ondata). Le misure dunque non sono molto diverse, a eccezione della scuola: da noi la didattica a distanza scatta già a partire dal 27 ottobre, mentre altrove l’istruzione non è stata toccata almeno fino a metà dicembre. Di conseguenza l’indice italiano è di nuovo il più alto, eppure contiamo 941 vittime per milione di abitanti. Certamente scontiamo i mancati investimenti sanitari negli anni passati e la popolazione leggermente più anziana, ma i numeri sono cresciuti ovunque: 650 in Germania, 762 in Francia, 672 in Svezia, 718 in Spagna. Ci supera solo il Regno Unito (1.077 vittime per milione), che però è stato travolto dalla contagiosissima variante inglese. Che cosa si può desumere da questo quadro?
Crollano i modelli tedesco e svedese: crescono i decessi
Innanzitutto con la seconda ondata saltano i modelli dei Paesi che la scorsa primavera erano riusciti ad avere un numero di decessi contenuto senza chiusure rigide. Con l’autunno alla Germania il miracolo non riesce più, nonostante la potenza del suo sistema sanitario (investe, per abitante, il doppio rispetto all’Italia). Anche la Svezia decide di cambiare rotta. Durante la prima ondata erano state promulgate solo raccomandazioni confidando nei comportamenti dei cittadini, che però non sono stati così responsabili come il governo si aspettava, con un pessimo risultato rispetto a quello dei suoi vicini del Nord Europa, che hanno una struttura di società simile (densità di abitanti e famiglie piccole), ma hanno stretto di più. La Danimarca, con un indice di contenimento a 58, riesce a fermarsi a 108 decessi per milione di abitanti e la Norvegia con un indice a 76 conta solo 49 morti per milione di abitanti. Stoccolma quindi comincia a stringere. Ciononostante, i decessi in Svezia nel corso della seconda ondata sono addirittura più alti che nel corso della prima: 672. È la dimostrazione che quando la curva del contagio cresce in modo esponenziale, e con focolai diffusi, non resta altra soluzione che adottare misure di contenimento più rigorose. Lo abbiamo visto anche in Italia con il caso del Veneto: dopo settimane in zona gialla per la buona tenuta degli ospedali, sotto Natale i contagi sono aumentati fino a 5mila al giorno. Sta di fatto che i decessi sono cresciuti ovunque: chi più o meno è rimasto sugli stessi numeri della prima ondata è solo la Spagna.
L’importanza di misure tempestive: quanto costano i ritardi
Una spiegazione plausibile è che tutti i grandi Paesi europei temporeggiano fra i 20 e i 50 giorni prima di varare misure più rigide, con la ormai nota conseguenza: si alza il numero dei contagi e salta il tracciamento. Viceversa, la Spagna — pur pagando un bilancio di vittime elevato in termini assoluti — è l’unico Paese europeo tra quelli che abbiamo analizzato a essere intervenuto velocemente. Le misure scattano a livello locale entro 7-10 giorni dai primi segnali di innalzamento dei casi. A fine luglio la curva si muove, e ai primi di agosto c’è una prima stretta. I contagi tornano poi a crescere a metà ottobre, e di nuovo la Spagna agisce rapidamente (il 21 ottobre). Infine, salgono nuovamente dalla seconda metà di dicembre, e ancora la Spagna potenzia le misure (dal 23 dicembre). Risultato: con il 10% in più di vittime soffre un po’ meno la forza della seconda ondata rispetto agli altri, nonostante sia stato il Paese dove il virus ha ripreso a correre già a luglio anziché a fine settembre.
Le ricadute sul Pil: quanto perdono i Paesi europei
Di conseguenza la Spagna è anche il Paese che perde di più anche in termini di Pil: -11% nel 2020. Italia -8,8, Francia –8,3, Regno Unito -9,9. Chi ha perso meno sono i Paesi che durante la prima ondata hanno fatto poco o nulla: Germania -5% e Svezia -2,9. Va sottolineato che, al contrario degli altri, sulla loro economia pesa meno il turismo (d’affari per alcuni, balneare per altri).
L’11 febbraio la Cancelliera Angela Merkel fa mea culpa davanti al Bundestag: «Non siamo stati abbastanza attenti e veloci», ammette, aggiungendo che il secondo lockdown, scattato il 2 novembre in modo light, è stato rafforzato con troppo ritardo solo il 16 dicembre. Ora il suo obiettivo è di riportare i contagi a 50 ogni 100 mila abitanti, soglia sotto la quale è possibile un monitoraggio efficace e il virus rallenta. Condizioni cruciali per non compromettere la campagna vaccinale. Sulla stessa linea anche Francia e Gran Bretagna che continuano il lockdown. E noi? Abbiamo capito che i risultati dipendono dalle misure, oltre che dalla qualità dei presidi che ruotano intorno e dai comportamenti delle persone, sui quali però possiamo confidare poco. Ebbene, con tutte le varianti in giro che stanno facendo impennare la velocità dei contagi, finora siamo stati qui a discutere.