Il Corriere della Sera. Si lavora con la consapevolezza che testimonianze, atti e documenti raccolti, presto dovranno essere trasmessi ad altre Procure. Per esempio a Roma, per quanto riguarda la preparazione del ministero della Salute, e quindi del governo e del Paese, ad affrontare l’epidemia. Oppure a Venezia, per lo scontro interno all’Oms (l’ufficio Europeo è proprio in Laguna) sull’ormai noto studio pubblicato a maggio sul sito dell’Organizzazione e poi scomparso nel giro di 12 ore, che stigmatizzava l’esistenza di un Piano pandemico italiano del 2017 copiato da quello del 2006. Sono ipotesi che circolano tra gli uffici della Procura di Bergamo: l’inchiesta avviata a fine marzo dalla magistratura competente sul territorio più colpito dal virus, è ormai talmente ampia che sui suoi eventuali approdi c’è più di un punto di domanda. La prospettiva è definire un quadro completo di informazioni sui diversi fronti aperti e poi decidere, anche in base alla consulenza che Andrea Crisanti, docente all’Università di Padova, dovrà depositare entro marzo.
Perché le indagini si siano allargate tanto, è ormai chiaro. Un esempio lo dice meglio di tutti: il direttore generale dell’Asst di Seriate (che gestisce l’ospedale di Alzano) Francesco Locati ha sostenuto che in quell’ospedale i tamponi non furono fatti prima che esplodesse il caso di Codogno, perché le circolari ministeriali fino a quel momento richiedevano un contatto del paziente con la Cina, prima di procedere all’analisi di laboratorio. La Procura è quindi andata a recuperare tutte le circolari del ministero. E ha poi avviato l’approfondimento sui documenti che avrebbero dovuto dare linee guida all’Italia: così sono stati acquisiti tutti i piani pandemici pubblicati negli anni dal governo, è stata ricostruita la loro storia, così si spiegano anche le cinque ore di fronte ai pm, lunedì, di Stefano Merler, il matematico applicato all’epidemiologia della Fondazione Bruno Kessler di Trento, che il 12 febbraio aveva presentato uno scenario con 60 mila vittime in Italia.
La Procura di Bergamo è probabilmente l’istituzione che più di altre ha raccolto informazioni di ogni tipo sulla gestione dell’epidemia. Ma dovrà fare delle scelte. Anche su buona parte degli esposti presentati dal comitato Noi denunceremo, che puntano il dito contro un «sistema impreparato» più che sulla gestione dei singoli ospedali. Responsabilità della Regione e quindi Procura di Milano? O del governo e quindi ancora Roma? Resterà di sicuro a Bergamo il caso di Alzano, con il Pronto soccorso chiuso e riaperto dopo tre ore. È ancora difficile capire chi fece quella scelta: per ora ci sono posizioni opposte dei vertici del Welfare lombardo, da una parte, e della direzione ospedaliera dall’altra. E poi, sempre in Val Seriana, c’è il caso della mancata zona rossa, che però fu una scelta politica del governo, probabilmente non sindacabile in sede penale.
Il procuratore capo: «Indaghiamo sulle omissioni. Italia impreparata. C’è stata tanta improvvisazione»
di Fiorenza Sarzanini. Ha acquisito relazioni, interrogato testimoni, letto denunce, fatto sopralluoghi. Ha parlato con i consulenti, concesso altro tempo ai periti per capire che cosa sia davvero accaduto in Val Seriana all’inizio della pandemia da Sars-CoV-2. E soprattutto se l’Italia fosse preparata ad affrontare una simile emergenza. Se il piano pandemico di cui tanto si parla fosse adeguato ad affrontare quel che è accaduto a partire da gennaio. Le indagini sono in corso, ma il capo della Procura di Bergamo Antonio Chiappani fa ben comprendere quale potrà essere la loro evoluzione, seguendo il filo di quanto è stato scoperto. Il reato ipotizzato è l’epidemia colposa, ma altre contestazioni potrebbero essere mosse contro i responsabili degli ospedali, delle aziende sanitarie e soprattutto della Regione se fosse accertato che non hanno seguito i protocolli stabiliti. E dunque che le loro scelte, sbagliate o inopportune, hanno contribuito alla diffusione dei contagi e alla morte di migliaia di persone.
Procuratore, l’Italia aveva un piano pandemico?
«Ne esiste uno datato 2017 che riguarda l’influenza».
A leggerlo sembra copiato da quello del 2006.
«Effettivamente molte parti sono identiche».
Sembra che in alcuni capitoli siano addirittura rimaste le date sbagliate. È così?
«Ci sono delle irregolarità, stiamo ancora verificando. Sicuramente il piano del 2017 non contemplava quanto accaduto con il Covid-19. Solo in seguito, dopo la comunicazione dei casi in Cina, l’Istituto superiore di sanità ha presentato un piano strategico che ha però deciso di secretare».
È il famoso «piano segreto» preparato dal ministero della Salute che disegnava diversi scenari. Si può ritenere un piano di intervento?
«In realtà rappresentava possibili scenari».
Eppure l’Oms aveva lanciato un allarme specifico sul virus proveniente dalla Cina.
«Sì, l’Organizzazione mondiale della sanità lo aveva fatto il 5 gennaio, e il 31 gennaio il governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza».
Lei ritiene che a quel punto il nostro Paese fosse pronto?
«Eravamo impreparati. Questo ormai mi pare un dato acquisito. Finora abbiamo rilevato purtroppo che c’è stata tanta improvvisazione».
Il ruolo
Ranieri Guerra fa parte dell’Oms, e quindi
gode dell’immunità diplomatica
La mancanza di un piano di intervento potrebbe diventare l’alibi di direttori sanitari, manager delle Asl e politici?
«I piani per combattere una normale influenza già prevedono la sanificazione dei reparti, l’evacuazione di alcune sale, percorsi differenziati per i malati. Noi stiamo verificando se queste misure siano state prese, dobbiamo scoprire come sia stato possibile che in questa zona ci sia stato il numero più alto di contagiati, malati, vittime».
Vi siete affidati al professor Andrea Crisanti, a che punto è il suo lavoro?
«Ci ha chiesto una proroga, l’attività da svolgere è ancora lunga, tante le verifiche da effettuare. Si deve scoprire che cosa ha inciso in maniera determinante sulla diffusione del virus. Accertare eventuali responsabilità rispetto ai reati di epidemia colposa, omicidio colposo e falso».
L’assenza di un piano pandemico rappresenta un’omissione in atti di ufficio?
«Lo stiamo verificando. Se così fosse trasmetteremo questa parte dell’inchiesta per competenza ai colleghi della Procura di Roma».
Per indagare sul ministero della Salute?
«Stabiliremo chi doveva predisporlo e perché non è stato fatto. Se riterremo che le indagini vadano svolte a Roma saranno quei magistrati a decidere come procedere».
All’epoca il direttore generale della Prevenzione era Ranieri Guerra, ora direttore aggiunto dell’Oms, componente del Comitato tecnico-scientifico. Voi l’avete già interrogato. Tutto chiarito?
«Esiste il segreto istruttorio, su questo non ho niente da dire. Vorrei comunque precisare che il professor Ranieri Guerra, proprio perché membro dell’Oms, gode dell’immunità diplomatica».
Quindi la vostra inchiesta dovrà in ogni caso fermarsi?
«Noi arriveremo fino in fondo, ricostruiremo ogni passaggio. Dobbiamo contestualizzare i ruoli, capire che cosa è accaduto. Individuare i cluster. Le valutazioni le faremo alla fine. Lo dobbiamo alle vittime e ai loro familiari».