C’è voluto poco per passare da eroi, o angeli, a «nemici» da aggredire, minacciare, prendere a calci, insultare. Anche in epoca di Covid i camici bianchi, già pochi, stressati e sfiniti da un ulteriore carico di lavoro enorme e ininterrotto da febbraio, si ritrovano bersaglio della rabbia e della frustrazione di pazienti e familiari ancora più spaventati ed esasperati. Stavolta a farne le spese sono soprattutto i medici di famiglia.
E’ storia di qualche settimana fa l’attacco a un dottore vicentino spintonato, buttato per terra e preso a calci da un utente esploso davanti al reiterato invito di indossare la mascherina in ambulatorio, che non aveva nemmeno con sé. L’uomo, fuggito, è stato poi individuato dai carabinieri e denunciato, ma il medico è rimasto sotto choc per giorni. Così come è rimasta spiazzata una dottoressa, sempre veneta, minacciata da una mamma che pretendeva da lei il certificato di riammissione a scuola per il figlio, giunto a fine quarantena. «Prima dev’essere sottoposto a tampone di controllo», ha risposto la professionista. «No, non lo farà perché noi non crediamo all’esistenza di questo virus — si è sentita replicare — e se lei non procede, riceverà una diffida dal mio avvocato». Ha invece urlato che si sarebbe presentata con i carabinieri in ambulatorio una signora decisa a ottenere l’esenzione dall’obbligo di mascherina perché le dava fastidio. «Scriva che sono asmatica», ha intimato al medico, che ovviamente si è guardato bene dall’obbedire, rimediando una lunga serie di improperi e intimidazioni.
Uno degli episodi più gravi, che ha spinto l’Ordine dei Medici di Vicenza ad aprire uno sportello di aiuto, è la lettera ricevuta il 19 novembre dal presidente Michele Valente e firmata da un residente con nome, cognome e indirizzo. «Spero che il Covid faccia molti morti tra i dottori — c’è scritto — chissà che vi uccida tutti. Siete gente di m…». «Questo è il clima che si respira — allarga le braccia Valente — la tensione è ormai alle stelle e si aggiunge alla fatica, alla paura e allo stress diventati insostenibili, soprattutto per i colleghi più giovani, già spaventati e timorosi di non essere all’altezza della situazione. Mi riferisco a 25-30enni appena usciti dall’aula studio e buttati in trincea per sostituire sempre più colleghi contagiati dal coronavirus. Sono in grossa difficoltà, se poi si trovano davanti situazioni del genere non c’è da stupirsi se molti di loro ricorrano ad ansiolitici e antidepressivi per affrontare la giornata di lavoro. Siamo al paradosso del tutti contro tutti».
Per dare un aiuto concreto ai camici bianchi in crisi, l’Ordine di Vicenza sta preparando un servizio pensato per medici di famiglia e pediatri di libera scelta ma aperto anche agli ospedalieri. Da una parte partiranno, on line, incontri con psicologi per riconoscere il burn out (appunto il grande stress), l’angoscia e l’ansia legati al sovraccarico di lavoro e alla sofferenza di vedere i propri pazienti finire intubati o morire; e dall’altra psicologi e psichiatri spiegheranno come gestire malati e parenti aggressivi per evitare che la situazione degeneri. I professionisti più in difficoltà saranno seguiti con sedute individuali, su Skype o su altri canali on line. «Bisogna vincere l’iniziale pudore che la nostra categoria ha nel chiedere aiuto — avverte Valente — un referente dell’Ordine farà da collettore degli sos. Tutto ciò accade anche per la fragilità di pensionati, dentisti, laboratoristi e neolaureati gettati nella mischia per subentrare a medici di famiglia in quarantena e già in ansia di trovarsi a gestire mille assistiti ognuno senza aver mai svolto questa professione. Riceviamo centinaia di chiamate al giorno, anche da parte di colleghi che chiedono spiegazioni su tutto, perfino su come compilare le nuove ricette».
Non va meglio negli ospedali. «Siamo al collasso, fisico e psicologico — ammette Adriano Benazzato, segretario regionale di Anaao Assomed — siamo costretti ad arginare sulla nostra pelle la rabbia di cittadini che dalla tivù sentono quanto vada tutto bene ma poi devono aspettare giorni per un tampone, ore al Pronto Soccorso e mesi un vaccino anti-influenzale. Che non arriverà mai. E allora se la prendono col medico, così come i familiari del malato intubato e che deve per forza sopravvivere. Anche se ha 80 anni, è arrivato in ospedale in condizioni disperate e soffre di altre gravi patologie».