7 novembre 1972: Joe Biden viene eletto senatore. 7 novembre 2020: l’ex vice di Obama viene designato presidente degli Stati Uniti. 48 anni dopo il vecchio Joe celebra, insieme a Kamala Harris, questo giorno storico con un discorso breve, chiarissimo, che parla al cuore dell’America. Politico navigato, di lunghissimo corso, Joe è anche un leader abituato a stare tra la gente: sa che Trump ha cambiato l’America e anche lui cambia linguaggio. Presidenziale, ma anche popolare, colloquiale nell’invocare la fine dell’«era della demonizzazione dell’avversario», perché chi non la pensa come noi «non è un nemico: siamo tutti americani». Biden si propone come il guaritore delle ferite che lacerano l’America — un compito immane visto il clima degli ultimi anni — e mette un primo punto di sutura evitando di attaccare il presidente, citato indirettamente solo per dire che comprende la sua delusione: «È capitato anche a me: ho puntato due volte senza successo» alla Casa Bianca.
Umano, empatico, ma pur sempre leader esperto che conosce come pochi la macchina dell’Amministrazione in tutti i suoi angoli, Biden è già al lavoro per costruire squadra e programma di governo. In attesa di sondare i leader repubblicani coi quali dovrà negoziare, visto che probabilmente manterranno il controllo del Senato. Già oggi metterà in piedi la sua task force per il coronavirus.
Festa grande, su ali d’aquila. Nella notte di Wilmington, tra fuochi d’artificio e pattuglie di droni governati da pc che disegnano nel cielo l’America e la bandiera, Biden celebra il suo trionfo. È una grande festa popolare drive-in con la gente fuori dalle vetture, in piedi sui cofani o appollaiata sui tetti, che da ore sta festeggiando. Tante mascherine ma di dubbia utilità, dato che ci sono anche tante bottiglie di champagne che passano di bocca in bocca.
«Discorso perfetto»
Joe arriva sul podio di corsa e pronuncia, con insolito vigore, un discorso che sulla Fox, la rete vicina al presidente, Karl Rove, lo stratega delle vittorie elettorali di George Bush, definisce «perfetto: quello che l’America voleva sentire, un momento di potenziale riunificazione del Paese». Rivendicando le sue origini — nato e cresciuto nella Scranton operaia — Biden si presenta come uomo del popolo che vuole ricostruire il ceto medio ed è deciso a combattere una «battaglia per l’anima dell’America», per riportare fiducia laddove oggi prevale l’astio.
Biden si definisce un ponte verso il futuro (un riferimento alla sua età avanzata e un omaggio a Kamala Harris, la prima donna — una donna di colore — ad entrare nell’ufficio di presidenza degli Stati Uniti) e l’erede di tradizioni politiche che vanno da Abramo Lincoln a John Kennedy, all’Obama di Yes we can.
Quando annuncia la sua battaglia anti Covid, rende omaggio alle 230 mila famiglie che hanno perso i loro cari nell’epidemia e dedica loro un inno religioso, «Su Ali d’aquila», caro al figlio Beau: l’amatissimo primogenito che avrebbe dovuto essere il suo erede politico e che, invece, è stato ucciso cinque anni fa da un cancro. Il ricordo di Beau torna alla fine quando l’insolitamente calda notte di Wilmington viene illuminata da fuochi d’artificio mentre gli altoparlanti sparano «You are the Best» di Tina Turner e poi «Sky Full of Stars», dei Coldplay, la band preferita dal figlio scomparso.
Biden e i repubblicani
È una grande festa, ma Biden già guarda avanti. Sa che deve correre e che non avrà vita facile, stretto com’è su tre fronti: un presidente che seminerà di trappole i due mesi e mezzo dell’interregno e poi gli farà la guerra dall’opposizione; un Senato rimasto in mani repubblicane il cui leader, Mitch McConnell, un vecchio notabile politico del Sud, condizionerà Biden tanto nella formazione del governo quanto nei suoi programmi che, tradotti in leggi, dovranno essere approvati dalle Camere; la sinistra radicale il cui peso nel partito è molto cresciuto negli ultimi anni e il cui appoggio – consistente, anche se non straordinario – ha consentito a Biden di spuntarla negli Stati industriali persi nel 2016 da Hillary Clinton.
Riunificare il Paese: bello slogan, compito immane. Anche Obama voleva essere un leader bipartisan: andò in tutt’altro modo.
Biden sa che con un Trump scatenato rischia di fare una fine anche peggiore, ma non è detto: Trump ha cambiato l’America e ha un seguito enorme, ma ha anche lui le sue fragilità e in questi 4 anni s’è fatto, anche a destra, un’infinità di nemici. Biden cercherà un terreno d’intesa con la vecchia guardia repubblicana che, con l’eclisse di The Donald, potrebbe tornare a contare. I rapporti con McConnell sono difficili, ma i due sono politici pragmatici: potrebbero lavorare insieme.
Team della diversità
Bush ci mise un anno a costruire la sua Amministrazione. Trump non l’ha mai creata. Biden sarà pronto fin dal primo giorno a mettere gente che ritiene capace nei ruoli-chiave, grazie alla sua enorme esperienza. Non sarà comunque facile: gli spettano 4000 nomine, 1000 delle quali dovranno essere ratificate dal Senato. Sui ministri subirà di certo condizionamenti che lo obbligheranno a rinunciare a nomi invisi ai repubblicani. Non è detto che la cosa gli sia del tutto sgradita: potrebbe aiutarlo a contenere le pressioni della sinistra radicale che vorrebbe Elizabeth Warren al Tesoro (Joe, invece, penserebbe all’economista della Fed, Lael Brainard) e Bernie Sanders al Lavoro. Quello che è certo è che il governo suo e di Kamala sarà per sessi e razze quello con la maggiore diversity. Tante le ipotesi allo studio del team della transizione guidato da fedelissimi di Biden: Ted Kaufman, Yohannes Abraham e Jeff Zients che potrebbe diventare il capo di gabinetto della Casa Bianca.
La strategia di governo
Biden governerà ricorrendo massicciamente agli ordini esecutivi presidenziali come ha fatto Trump (lui ne varò 24 nei primi 100 giorni, Joe ne sta preparando anche di più). Il nuovo presidente revocherà molte misure del suo predecessore come il blocco dell’immigrazione dai Paesi musulmani, riporterà gli Usa negli accordi Parigi sul clima e nell’Organizzazione mondiale per la Sanità.
L’America nel mondo
Biden manterrà la linea dura con la Cina e non butterà di certo alle ortiche il recente accordo tra Israele e alcuni Paesi sunniti, ma tenderà anche una mano all’Iran per provare a riattivare l’accordo nucleare. Prioritario per lui rinsaldare i rapporti con gli alleati europei, dopo le forti tensioni alimentate da Trump.
Presidente cattolico
Dopo John Kennedy, Biden sarà il secondo cattolico alla Casa Bianca. Per papa Francesco un’ottima notizia soprattutto perché Joe (ultima visita in Vaticano nel 2016) è un cattolico progressista che vuole combattere la povertà in un mondo senza barriere: l’arcivescovo di Los Angeles, Josè Gomez, ieri ha accolto con soddisfazione la sua designazione anche perché le posizioni di Joe sono lontane da quelle delle correnti cattoliche più conservatrici che dialogano con gli evangelici Usa e non nascondono la loro ostilità nei confronti del Pontefice.
Il Corriere della Sera