Dopo una giornata di passione e quando ormai sembrava certo il passaggio in area arancione (con relativi divieto di circolazione anche tra Comuni e chiusura di bar e ristoranti), alle 20.20 di ieri sera il Veneto ha scoperto dal premier Giuseppe Conte, in diretta tv, di essere invece classificato in area gialla.
La più «soft», insieme a Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Trento e Bolzano, Sardegna, Toscana e Umbria. Il che significa: coprifuoco dalle 22 alle 5, salvo motivi di lavoro, necessità e salute; chiusura dei centri commerciali di sabato e domenica, ad eccezione di farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, alimentari, tabaccherie ed edicole operanti al loro interno; chiusura di musei e mostre; didattica a distanza per le scuole superiori e in presenza per asili, elementari e medie; chiusura delle Università; riduzione fino al 50% dei posti nel trasporto pubblico, ad eccezione degli scuolabus; sospensione di attività di sale giochi, Bingo, scommesse e slot machine, anche nei bar e nelle tabaccherie; chiusura di bar e ristoranti alle 18, ma asporto consentito fino alle 22 e nessuna restrizione per le consegne a domicilio; restano chiusi piscine, palestre, teatri, cinema. Aperti invece i centri sportivi e di riabilitazione.
Provvedimenti in vigore da domani, per dare a tutti il tempo di organizzarsi, e fino al 3 dicembre. «Il piano a 21 parametri studiato dal governo e dagli esperti per il contrasto all’epidemia da Covid-19 è la bussola che ci indica dove intervenire e con quali misure — ha spiegato Conte —. Più elevata è la circolazione del virus, più restrittive sono le misure da introdurre». Le Regioni saranno sottoposte a stretto monitoraggio per 14 giorni e a seconda dell’andamento dei contagi e dei ricoveri in area medica e in Terapia intensiva potranno cambiare «status». Ma nel frattempo si può dire che la linea politica di Zaia, fermo nel ribadire «il nostro Sistema sanitario tiene, abbiamo il più basso indice di occupazione dei letti in Terapia intensiva, cioè il 16%, e se registriamo un’impennata di casi è perché siamo quelli che fanno più tamponi (2.381.170 dal 21 febbraio, ndr )», ha avuto la meglio sulla linea tecnica dell’Istituto superiore di Sanità. I cui esperti avevano inserito il Veneto nello «scenario 3», tracciato dall’ultimo decreto Conte del 3 novembre, sulla scorta proprio dei parametri di riferimento approvati dalla Conferenza Stato-Regioni durante la fase 1 dell’epidemia da Covid-19, la scorsa primavera. Oltre all’inarrestabile escalation dei contagi (ieri picco di 2665), aveva pesato nel giudizio dei tecnici il boom di ricoveri in Malattie infettive e Pneumologia (1112, +36 in 24 ore, che però per il ministero della Salute sono 1225 perché calcola anche i 113 degenti ormai negativi al tamponi) e soprattutto nelle Terapie Intensive. Parametro decisivo, come ha ribadito il premier, a maggior ragione perché ieri ha superato la soglia critica dei 150 ricoveri (sono 154, +8, per il ministero 160 perché considera pure i sei pazienti negativizzati). Limite di guardia che anche secondo il Piano emergenziale varato da Palazzo Balbi sancisce il passaggio alla fase 3, peraltro già decretato dal superamento dei 900 malati in area medica. Infine i decessi: altri 19 ieri, per un totale di 2491.
«Tutta Italia ha notevolmente aumentato la capacità di screening rispetto a marzo, quando si effettuavano 30mila tamponi al giorno — ha detto il professor Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di Prevenzione al ministero della Salute — oggi se ne eseguono 200mila (ieri 211.821, ndr ). Il problema è che il 10% è positivo, percentuale piuttosto elevata. Il Veneto è tra le Regioni più colpite dal Covid-19, dopo Lombardia, Piemonte e Campania: ha rilevato un forte aumento di casi. Oltre all’indice del contagio (1,47 nella regione, ndr ), consideriamo la resilienza, cioè quanto un Sistema sanitario sia in grado di rispondere e fornire dati affidabili ».