Corriere del Veneto. Le terapie intensive, indicatore primario della tenuta del sistema sanitario regionale al tempo del coronavirus, aumentano, ma in modo contenuto e al momento sono sotto controllo (il bollettino di ieri recita più 8 posti occupati, per un totale di 95 su 494 disponibili, elevabili in caso di emergenza a 1.016). A destare preoccupazione a Palazzo Balbi è invece la curva dei ricoveri in «area non critica» (reparti di pneumologia e malattie infettive, quindi le terapie sub-intensive), che anche ieri ha registrato 61 casi in più, per un totale di 784 letti occupati.
Numeri che si avvicinano rapidamente alla soglia di 900, che fa scattare la «Fase 3» del piano di sanità pubblica del Veneto, quella gialla, e hanno convinto il presidente Luca Zaia ad accelerare sulla riapertura dei dieci Covid hospital dislocati sul territorio, ossia gli ospedali integralmente dedicati ai contagiati dove, inevitabilmente, si dovrà procedere con il trasferimento dell’attività d’urgenza e la progressiva riduzione di quella ordinaria.
«Ho dato disposizione a tutti i direttori generali di tenersi pronti – spiega Zaia -. L’obiettivo è salvaguardare l’attività ordinaria negli ospedali hub (quelli nei capoluoghi più le aziende ospedaliere di Padova e Verona, ndr .) e, fino a quando sarà possibile, negli spoke (quelli sparsi in provincia, ndr .), magari concentrando alcune specialità, così da preservare i degenti di queste strutture dai contagi».
I Covid hospital sono dieci: Belluno, Vittorio Veneto, Dolo, Jesolo, Trecenta, Santorso, Villafranca e Borgo Roma a Verona, più i privati del San Camillo a Treviso e Villa Salus a Mestre. Non riapriranno tutti insieme, bensì gradualmente, a seconda dell’evolversi dell’epidemia nelle province, anche se Zaia ammette che «in questo momento lo scarto tra quelle messe peggio e quelle messe meglio non supera la settimana». Ciò significa che i primi Covid hospital a riaprire i battenti saranno il San Camillo a Treviso e il San Martino a Belluno, quindi toccherà a Jesolo (già in parte operativo), Dolo e Villafranca, anche se in quest’ultimo caso va superato il problema dell’infezione che ha colpito la pneumologia, dove si sono ammalati di coronavirus 4 specialisti su 6. Poi, nell’arco di una settimana, seguiranno tutti gli altri. E lo scenario non è dei più rosei: «Se il trend proseguirà con questa velocità, nell’arco di 12 giorni avremo sfondato quota 1.500 ricoveri e ci ritroveremo nella Fase 4, quella arancione» avvisa Zaia, lo stadio in cui anche negli ospedali spoke, come Bassano, Camposampiero, Feltre, Montebelluna, Venezia, dovrà essere ridotta l’attività ordinaria per lasciare posto ai malati covid: «Di fronte a questi numeri non so che altro dire ai cittadini se non: mettete la mascherina».
Se da un lato è vero che il numero dei ricoverati in area non critica preoccupa, perché da lì si passa prima di approdare in terapia intensiva e dunque ad un aumento della prima voce potrebbe corrispondere in tempi brevi un aumento della seconda, è però altrettanto vero che alcuni di quei ricoveri sono «sociali», riguardano cioè persone che non necessiterebbero dell’ospedalizzazione dal punto di vista delle cure ma che pure non possono essere lasciate a casa perché anziane, sole o conviventi con soggetti fragili. In ogni caso, per alleggerire il fronte, la Regione ha formato un gruppo di lavoro cui è stato affidato l’obiettivo di stabilire il protocollo più efficace per la cura domiciliare, in collaborazione con i medici di base, «un po’ come stanno facendo in Giappone, una realtà che seguo da vicino» spiega Zaia. Si attende poi che l’istituto Spallanzani autorizzi l’uso dei test rapidi in auto-somministrazione (come i test di gravidanza o quelli per la glicemia): «Noi siamo pronti, appena avremo il via libera li daremo ai medici di base e alle farmacie».
Sul fronte del Dpcm, nessuna novità: continua il pressing politico sul governo, si ribadisce la vicinanza alle piazze («Vedo grande civiltà, persone perbene che non saccheggiano ma chiedono di lavorare») ma la Regione conferma di non poter intervenire con ampliamenti di orario e deroghe. Per ora Zaia non firmerà neppure un’ordinanza per la chiusura dei centri commerciali (in questo caso pur potendolo fare, il Dpcm lo consente) additati da baristi, ristoratori e titolari di palestre come le vere fonti di contagio: «Vediamo come si muoverà il governo» prende tempo il presidente.
Infine, l’affollamento su bus e treni, denunciato da studenti e pendolari: «Sui treni non abbiamo competenza – dice Zaia – e anche le aziende dei bus non fanno capo alla Regione. È prevista una capienza dell’80%, spero che la didattica a distanza alle superiori aiuti a sgravare i mezzi. Dovrebbero stare a casa 200 mila ragazzi, su un totale di 1,2 milioni di pendolari».