Eccolo là il Mes, vedete quanto è lontano!». E poi la mano a paletta sulla fronte, come a scrutare l’orizzonte. Era la mattina del 21 luglio, a Bruxelles, lo staff di Giuseppe Conte sembrava decisamente di buon umore. Nella notte il Consiglio europeo aveva finalmente raggiunto l’accordo sul Recovery fund, con i 209 miliardi di euro per l’Italia. In quel numero il premier vedeva non solo una boccata d’ossigeno per un Paese in sofferenza ma anche un appiglio per allontanare il Mes. E questo perché il fondo salva Stati, con i 36 miliardi vincolati per la sanità, spaccava e spacca tuttora la maggioranza, tra un Pd favorevole e un Movimento 5 Stelle contrario.
Oggi, però, il Mes non sembra più così lontano. Con i soldi del Recovery che restano ancora teorici e i numeri del contagio che preoccupano, il pressing sale dal territorio, da quei presidenti di Regione che sono responsabili della spesa sanitaria e quindi vedono prima di altri i rischi all’orizzonte. Senza neanche il bisogno della mano a paletta. Il Pd si è sempre detto favorevole. E Nicola Zingaretti, nella doppia veste di segretario e governatore del Lazio, ci tiene a sottolinearlo: «Fin dal primo momento sono stato convinto che questa importante forma di finanziamento andasse utilizzata». Dalla Campania, una delle regioni che preoccupa di più, Vincenzo De Luca ci mette il carico: «Non sono favorevole, sono favorevolissimo. Ma a patto che si faccia presto, in modo da poter spendere subito quei soldi». I governatori del Pd spingono per il Mes, fin qui nessuna sorpresa. Ma lo fa anche Giovanni Toti, da poco rieletto in Liguria per il centrodestra. «Il Mes ci vuole ma a condizione che sia accompagnato da procedure di estrema semplificazione». In che senso? «Che si possano fare assunzioni per chiamata diretta senza concorsi che durano anni, dare appalti per affidamento diretto senza i tempi delle gare. Altrimenti finiremo per usare quei soldi solo a pandemia finita».
La velocità di spesa è un tema. E se la stessa preoccupazione viene condivisa da due mondi fra loro così lontani, De Luca e Toti, vuol dire non solo che si tratta di una questione vera, ma anche che qualcosa si sta muovendo. Lo stesso ragionamento, pur con una certa cautela, lo fa anche Alberto Cirio: «Quello sul Mes — dice il presidente del Piemonte, centrodestra — non è un dibattito che mi appassiona anche perché rischia di far venire meno il primo dei temi che è come spendere effettivamente queste risorse». Comunque non è un no.
La maggioranza
Il fondo salva Stati, con i 36 miliardi vincolati per la sanità, spacca la maggioranza
Ma i segnali più interessanti arrivano da un’altra sponda politica. Matteo Salvini ha sempre liquidato il Mes come una «fregatura». Mentre i governatori della Lega hanno cominciato a smussare gli angoli. In Lombardia Attilio Fontana ripete il suo distinguo: «Se dal Mes arriveranno risorse aggiuntive per la sanità, ben vengano. Ma io temo che sarà una sostituzione di risorse del governo con risorse dell’Europa». Stesso punto sottolineato da Luca Zaia, Veneto: «Del Mes non si hanno ancora notizie, se non quelle del dibattito interno al governo. Se si deciderà per il sì, riceveremo quei fondi dando per scontato che siano risorse aggiuntive e non sostitutive di quanto il Veneto non riceva già dallo Stato». Risorse aggiuntive, non sostitutive: un bel paletto piantato nel terreno di un negoziato politico che prima sembrava impossibile. E comunque lontano anni luce dalla «fregatura» di Salvini.
Certo, sarebbe interessante sentire un governatore del M5S, messo davanti al bivio tra il no del suo Movimento e i guai che vede sul territorio come amministratore. Ma un governatore M5S non c’è. E allora il diritto di tribuna per il no spetta a Nello Musumeci, Sicilia, centrodestra: «Evitiamo altri debiti, va razionalizzata la spesa». Ma sembra in minoranza, sempre di più.