Medici di famiglia (sono 3200) e pediatri di libera scelta (555) si preparano a eseguire i loro primi tamponi (rapidi) rileva-Covid 19 su pazienti con sintomi sospetti. E’ l’accordo al quale sta lavorando la Regione insieme alle due categorie, con il duplice scopo di consentire loro di completare la diagnosi senza dover inviare l’utente in ospedale e anche di alleggerire un po’ le Usl, ora complessivamente impegnate in 15mila tamponi al giorno (dal 21 febbraio sono 1.703.418, più 1.360.000 test rapidi). «Ci siamo incontrati a inizio settimana, venerdì abbiamo ricevuto le osservazioni dei medici e domani conto di arrivare ad un accordo sulle modalità organizzative dell’operazione — conferma Manuela Lanzarin, assessore a Sanità e Sociale —. Noi siamo disponibili a fornire gratuitamente una certa quantità di tamponi rapidi, che magari i dottori potrebbero iniziare a somministrare agli operatori scolastici loro pazienti, per poi estenderli a tutti gli utenti con sintomi sospetti».
«In effetti non ha senso inviare un paziente con la febbre in ospedale per il tampone quando può farlo dal proprio medico — riflette il governatore Luca Zaia —. E così evita il rischio di contrarre il coronavirus proprio in coda, in mezzo a tante altre persone». «Stiamo ragionando sulla quantità di tamponi come dotazione di base — dice Domenico Crisarà, segretario regionale della Fimmg (medici di famiglia) — si potrebbe partire con un centinaio a testa. Starà poi a noi decidere se effettuarli in studio o a casa del malato. Devono diventare uno degli strumenti a nostra disposizione, come il kit per la glicemia».
L’altra novità riguarda la possibilità di dimezzare la quarantena da 14 a 7 giorni, sull’esempio della Francia. Opzione già criticata dal professor Andrea Crisanti, a capo della Microbiologia di Padova, secondo il quale si rischia di perdere una parte di infetti, lasciandoli liberi di contagiare altre persone. «Si è visto che la malattia si manifesta a 5-6 giorni dal contatto con il coronavirus — obietta Zaia — e allora non serve tenere a casa la gente due settimane. Le Regioni ne stanno discutendo con il ministero della Salute, cui spetta l’ultima parola, ma noi stiamo premendo perché si introduca la modifica». Tutto ciò a 24 ore dall’inizio delle scuole, che appena aperte dovranno poi richiudere per le elezioni. «Confidiamo che l’interruzione duri solo i prossimi 21 e 22 settembre e che già il 23 le lezioni possano riprendere», dice Zaia, che poi annuncia: «Gli scrutatori, i presidenti e tutti coloro che lavoreranno nei seggi elettorali possono andare negli ambulatori ad accesso rapido attivati dalle Usl per sottoporsi al tampone rapido senza prenotazione». E a proposito di scuola, pur sottolineando che è competenza statale fatta eccezione per la scelta dell’inizio e l’applicazione del Piano di sanità pubblica, demandate alle Regioni, il presidente col suo staff chiarisce i dubbi delle famiglie.
«Prima di tutto la mascherina — illustra la dottoressa Francesca Russo, direttore della Prevenzione regionale — gli studenti dai 6 anni in su devono indossarla durante gli spostamenti, per esempio per andare in mensa o in palestra, e quando non possono osservare il metro di distanza, magari durante incontri o assemblee. Se stanno fermi al posto, la tolgono. In caso di sintomi sospetti, l’alunno viene isolato in una stanza in attesa dei genitori e affidato al proprio medico. Noi consigliamo il tampone rapido, se positivo verranno messi in isolamento e sottoposti a test anche compagni di classe, insegnanti e personale non docente venuti a contatto con lo studente colpito dal virus. La tracciabilità immediata è fondamentale». E al Nido? «E’ impossibile far rispettare la distanza sociale ai bambini, però gli educatori devono tenere sempre la mascherina — precisa Russo —. Ogni maestra ha il proprio gruppo e i gruppi devono essere sempre rintracciabili. I giocattoli da usare sono quelli dell’asilo, da sanificare continuamente, mentre quelli portati da casa non vanno scambiati tra piccoli: ognuno tenga i propri».
Corriere Veneto