Corsa contro il tempo. Inflazione e uscita dalla legge Fornero, conto da 30 miliardi sulle pensioni. Dal voto di fiducia delle Camere il nuovo governo avrà a disposizione solo due mesi per eventuali ritocchi. Nel 2023 sotto la spinta del caro vita spesa su di 23,5 miliardi. Altri 4-5 miliardi sarebbero necessari per Quota 41 e altre deroghe
Considerando il flusso di spesa assorbito nel quadro tendenziale, le coperture effettive da individuare eventualmente con la prossima manovra non dovrebbero discostarsi troppo dai 12-15 miliardi. Sempreché non venga avviato anche l’irrobustimento delle pensioni più povere (previsto dal programma comune del centrodestra) per arrivare alla soglia di mille euro, indicata da Forza Italia. In questo caso l’asticella delle risorse da recuperare salirebbe addirittura più in alto. Ma anche accantonando il capitolo “minime”, resterebbe il problema della significativa crescita della spesa, da sempre monitorata con attenzione da Bruxelles, soprattutto in un momento in cui è necessario ricavare spazi di finanza pubblica per puntellare famiglie e imprese contro il caro energia.
Sulla base delle previsioni della Nadef, consegnata alle Camere da Mario Draghi e dal ministro Daniele Franco, con il ritorno secco alla legge Fornero le uscite pensionistiche salirebbero nel 2023 di ben il 7,9%, come ricordato anche dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico. E nei prossimi tre anni (di qui al 2025) la crescita della spesa sarebbe addirittura di 52,4 miliardi, oltre la metà dei 100,3 miliardi in più stimati alla fine del prossimo triennio rispetto al 2012, quando la legge Fornero era agli esordi (v. Il Sole 24 Ore del 4 ottobre). Un’andatura tutt’altro che rassicurante, dovuta anche alle ricadute del caro vita con conseguenti maggiori costi per rivalutare già a gennaio gli assegni pensionistici dopo il parziale mini-acconto previsto dal decreto Aiuti ter. E la Ragioneria generale dello Stato nel capitolo-pensioni contenuto nella Nadef lo fa notare senza giri di parole. I tecnici del Mef sottolineano che, alla luce di un profilo del deflatore del Pil che nel biennio 2023-2024 risulta sensibilmente inferiore a quello del tasso di indicizzazione «e dell’elevato livello dell’indicizzazione medesima (imputabile all’impennata del tasso di inflazione registrata a partire dalla fine del 2021 e prevista fino al 2023)», la spesa in rapporto al Pil «aumenta significativamente» arrivando alla fine del biennio a quota 16,4%: 1,2 punti percentuali in più rispetto al 2018. E Rgs aggiunge che questo livello «viene sostanzialmente mantenuto fino al 2030».
È evidente che nuovi interventi per “uscire” anche parzialmente dalla “Fornero” farebbero salire ancora di più la spesa. L’Inps ha stimato in 4 miliardi per il solo primo anno (circa 10 miliardi a regime) il costo di Quota 41. Lega e sindacati sostengono che non si spenderebbe più di 1,3-1,4 miliardi perché l’effettiva platea dei lavoratori che utilizzerebbero questa misura sarebbe notevolmente più bassa di quella potenziale. Ma proprio sulla platea “potenziale” la Ragioneria sarebbe comunque chiamata a quantificare l’eventuale copertura finanziaria necessaria, così come per altri ritocchi finalizzati a rendere più flessibile in uscita la legge Fornero. E il conto non sarebbe certo leggero.