Il Sole 24 Ore. Con l’emanazione del decreto ministeriale sulla procedura di comunicazione da seguire in caso di ricorso allo smart working, si completa il puzzle delle regole applicabili a partire dal prossimo 1° settembre, data che segna il ritorno alla normalità per questa importante forma di svolgimento della prestazione lavorativa.
Da quel giorno, un’azienda che vorrà attivare il lavoro agile non potrà più, come accaduto durante tutto il periodo in cui si è applicata la normativa emergenziale, limitarsi a fare una comunicazione unilaterale al lavoratore ma dovrà sottoscrivere con ciascun dipendente un apposito accordo scritto, i cui contenuti dovranno coincidere con i vincoli e i contenuti fissati dalla legge 81/2017; in particolare, tale accordo dovrà regolare le forme e le modalità di svolgimento del lavoro agile, la gestione degli strumenti informatici, il diritto alla disconnessione e gli ulteriori specifici aspetti fissati dalla legge.
Per comprendere meglio l’effetto pratico del ritorno alla disciplina ordinaria, proviamo a vedere cosa accade nelle diverse ipotesi in cui potrebbero ricadere i datori di lavoro.
Se un’azienda non ha in corso piani di smart working, il percorso è molto semplice e coerente con quanto appena ricordato: il datore di lavoro intenzionato ad attivare il lavoro agile deve chiamare ciascuno dei lavoratori che intende coinvolgere e deve sottoscrivere con ognuno di loro un accordo individuale che abbia i contenuti minimi previsti dalla legge 81/2017.
Meno scontato il percorso applicativo per le imprese che hanno già in corso un piano di smart working; in queste situazioni bisogna prima verificare se il lavoro agile è disciplinato da un atto unilaterale del datore di lavoro (ad esempio una email, un regolamento interno, una policy) oppure è regolato da accordi scritti con ciascun dipendente.
Nel primo caso, dal 1° settembre la disciplina unilaterale può restare in vita, ma solo se viene accompagnata da un accordo scritto conforme alla legge; senza tale intesa, lo smart working non è attivato correttamente, con tutti i rischi connessi (ad esempio, potrebbe mancare la copertura assicurativa prevista dalla legge 81/2017 in caso di infortuni sul lavoro).
Se invece il lavoro agile è già regolato da un accordo individuale, il datore di lavoro può proseguire ad applicare l’intesa firmata prima della data del 1° settembre, ma a patto che questa sia conforme con i requisiti previsti dalla legge 81/2017; il datore ha quindi l’onere di verificare che ci sia questa corrispondenza di contenuti per evitare che l’accordo lacunoso possa essere oggetto di contestazione ai fini del regolare utilizzo del lavoro agile.
Un’ulteriore ipotesi è quella che lo smart working sia disciplinato da un accordo sindacale; la fine del regime emergenziale non ha un diretto impatto sulle intese collettive, che quindi mantengono la loro validità ed efficacia secondo le regole definite dalle parti che le hanno sottoscritte.
Bisogna tuttavia fare attenzione a un punto importante: l’esistenza di un accordo collettivo durante il regime emergenziale era condizione sufficiente per attivare lo smart working, mentre con il ritorno alla normalità non basta più. Anche in presenza di un accordo sindacale, infatti, il datore di lavoro e il singolo dipendente devono sottoscrivere un accordo, avendo cura che sia conforme ai requisiti previsti dalla legge e ai contenuti fissati dall’intesa collettiva.
Quale che sia la situazione aziendale, quindi, dal 1° settembre serve un accordo scritto con ciascun dipendente; una volta firmato, grazie alla procedura semplificata appena approvata, non è necessario inviare al ministero del Lavoro copia dell’intesa, ma comunque il datore di lavoro ha l’onere di conservarne una copia per 5 anni.