Repubblica. Scoprire che con l’aumento dei costi e i sempre più frequenti blocchi dei trasporti comprare le scatole per i panettoni in Italia è più conveniente che farle arrivare dalla Cina. E che bisogna riutilizzare tutto quello si può, dall’olio di sansa, ultimo residuo della spremitura delle olive, al truciolato per le demolizioni. Le aziende italiane si adattano come possono a un’economia impazzita, tra materie prime che mancano, caro energia e conflitto in Ucraina. Provando a riscoprire una specie di autarchia: «Stiamo producendo con la quasi certezza di essere in perdita, ma non possiamo bruciarci il mercato: se il cliente prende un’altra strada, non lo recuperiamo più», dice Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica.
Legno e argilla a Km zero
Il distretto italiano della ceramica cerca faticosamente nuove forniture di argilla bianca, che arrivava dal Donbass ma adesso, ricorda il presidente della cooperativa Ceramiche di Imola, Stefano Bolognesi, «le cave sono chiuse, il personale evacuato e le ferrovie bombardate. A Ravenna abbiamo stoccaggi per poche settimane ». Una prima soluzione è “autarchica”: aumentare le forniture dalla Sardegna, anche se non basta. Bisognerà guardarsi attorno, dalla Turchia alla Serbia. Come sta facendo la filiera del legno, che chiede con forza di poter utilizzare una maggiore quota dell’incremento annuo delle foreste: «Siamo fermi al 30%, in altri Paesi come l’Austria si arriva al 60-70%», dice il presidente di Assopannelli Paolo Fantoni. Anche avere la possibilità di sfruttare il legno da demolizione aiuterebbe, suggerisce Fantoni: servirebbe una modifica legislativa.
Agroalimentare “circolare”
Anche per gli agricoltori c’è voluta una modifica di legge perché potessero prodursi da soli i fertilizzanti: «Siamo stati finalmente autorizzati a produrre digestato, un fertilizzante particolarmente ricco di azoto, non più solo per autoconsumo, dai sottoprodotti degli allevamenti o della lavorazione di alcuni prodotti », spiega Domenico Brugnoni, direttore Cia. Così si fa fronte alla mancanza dei fertilizzanti della Russia, quasi monopolista nel settore. Mentre sul fronte della trasformazione dell’agroalimentare forse l’allarme maggiore è quello dell’olio di semi, che arrivava in grandi quantità da Russia e Ucraina: «Le nostre aziende stanno adottando soluzioni d’emergenza, che non possono però diventare strutturali perché in Italia non ci sono abbastanza materie prime, per il miele per esempio c’è un’autonomia di due mesi – dice Massimo Rivoltini, presidente di Confartigianato Alimentazione – . Per gli oli stiamo utilizzando olio di cocco, l’olio di sansa e c’è anche il ritorno all’olio di palma».
Imballaggi di vicinato
Per alcune produzioni artigianali di pregio non si può utilizzare un olio qualsiasi, spiega Dario Loison, terza generazione di una rinomata famiglia di pasticcieri: «Abbiamo bisogno di almeno sei mesi per testare nuovi ingredienti». In compenso, Loison adesso compra le scatole di latta vicino casa: «Costano il 20% in più che in Cina, ma i costi dei container ormai si erano moltiplicati per sette».Ancora più radicale la scelta della Smurfit Kappa, produttrice di imballaggi di cartone ondulato: «In Europa c’è grande scarsità di carta, perché i costi di produzione sono diventati elevatissimi – spiega l’ad Gianluca Castellini – e così alla fine dell’anno scorso abbiamo deciso di comprare una cartiera e produrcela da noi. Così siamo sicuri di poter continuare a garantire il prodotto, anche se i prezzi aumentano».
Pannelli solari e metano
La produzione di energia: è lì che è veramente forte, ma ancora lontana da realizzare, l’aspirazione all’autarchia delle imprese italiane. Il ministro delle Politiche agricole Patuanelli ha varato in anticipo sui tempi del Pnrr il decreto “Agrisolare”, che stanzia 1,5 miliardi per installare impianti fotovoltaici sui tetti dei fabbricati strumentali all’attività agricola. E sempre sui pannelli solari, stanno nascendo le prime comunità energetiche. «In Lombardia siamo stati i primi – dice il presidente di Confartigianato Bergamo Giacinto Giambellini – . Siamo partiti in 16, con un investimento di 100 milioni di euro, ma contiamo di arrivare a 130 aziende». Ma c’è anche chi guarda con interesse allo sfruttamento del metano italiano: «Siamo pure disposti a partecipare alle spese – dice Savorani (Confindustria Ceramica) – . L’importante è che questi 2 miliardi di metri cubi che il governo vuole estrarre non vengano distribuiti nel mucchio, se è così le imprese non avranno alcun beneficio. Si diano ai settori manifatturieri e alle Pmi che ne hanno più bisogno».