Ma quali sono i fattori che hanno scatenato l’impennata? A mettere in fila cause e prospettive per l’economia europea è un report degli analisti di Cdp (“Cosa succede alle materie prime”). Che riconduce l’andamento dei prezzi a un mix di fattori legati non solo alla geopolitica (in primis la crisi Russia-Ucraina).
Tra le ragioni che hanno spinto le quotazioni delle materie prime, lo studio di Cassa indica innanzitutto lo squilibrio tra l’aumento della domanda di materie prime e semilavorati, generato dalla repentina ripresa seguita all’allentamento delle misure di contenimento della pandemia, e il livello dell’offerta che non ha registrato un incremento adeguato. Un mancato allineamento, dunque, su cui hanno inciso poi alcune dinamiche temporanee come i tagli alla produzione del petrolio greggio da parte dei paesi Opec+ e, guardando alle materie prime agricole, soggette allo stesso trend rialzista, focolai pandemici ed eventi climatici estremi che hanno generato carenze produttive a livello globale (dalla soia al mais) o progressivi esaurimenti delle scorte (è il caso del gas naturale). Senza contare il peso di improvvisi colli di bottiglia lungo le catene di fornitura globali o il verificarsi di eventi avversi lungo snodi strategici (il blocco del canale di Suez a marzo).
Ad amplificare gli incrementi dei prezzi, spiega la fotografia di Cdp, hanno poi contribuito le tecnologie verdi messe al centro dalla transizione ecologica e da cui è scaturita una forte richiesta di metalli “critici” come il rame, il nickel, il litio, il cobalto o il manganese, i cui livelli medi di consumo sono destinati ad aumentare significativamente da qui al 2030 (basti pensare che solo la domanda di litio per realizzare le batterie necessarie alle auto elettriche crescerà di oltre 26 volte rispetto all’asticella del 2010). E una dinamica analoga sarà determinata anche dall’incremento di investimenti pubblici e privati, soprattutto nelle economie mature (Usa su tutti), per effetto di nuovi pacchetti di stimolo che faranno ancora aumentare la richiesta di materie prime.
Su questo quadro, complicato altresì dai movimenti speculativi che investono alcune commodities, considerate alla stregua di veri e propri asset finanziari, gravano inoltre i nuovi equilibri geopolitici disegnati dal monopolio di alcuni Paesi su importanti materie prime. E qui la disamina di Cdp ricorda gli effetti delle ultime mosse di paesi come la Russia (sul gas) e la Cina (sulla componentistica) che stanno rallentando le catene di fornitura globali. Un aspetto, quest’ultimo, che fa il paio con l’elevatissima dipendenza dell’Europa da Paesi terzi in termini di approvvigionamento: delle 30 materie prime critiche incluse nella lista stilata da Bruxelles, solo poco più del 20% viene fornito da Stati membri della Ue. Qualche esempio? Oltre il 98% della fornitura di terre rare (come vengono definiti 17 elementi chimici presenti nei minerali, ma difficili da identificare e da ottenere) proviene dalla Cina (che, nell’ultimo periodo, complice la crisi energetica, ha anche ridotto le esportazioni di un metallo cruciale per l’industria come il magnesio), l’87% del litio dall’Australia e il 71% del platino dal Sud Africa. Con il risultato che qualsiasi oscillazione a monte della catena di fornitura può avere pesanti ripercussioni in Europa. Che può uscire dal cul de sac, dice lo studio, solo con un cambio di passo convincente. Tradotto: occorre assicurarsi una sempre maggiore autonomia commerciale e geopolitica in termini di forniture che deve passare anche per crescenti investimenti in innovazioni . Ferma restando la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento e di rafforzare l’uso circolare delle risorse. Anche guardando all’Italia che, con la sua più alta percentuale di riciclo dei rifiuti raccolti, può fungere da traino per il resto del continente.