Il Sole 24 Ore. Gli stabilimenti dei surgelati prima di tutto, ma anche i mulini che macinano il grano. I mangimifici. E poi i prosciuttifici: tra celle frigo e reparti che affettano, l’impatto degli aumenti energetici qui è fortissimo. «Si parla tanto di ceramica, acciaio e carta, ma la verità è che nel settore alimentare ci sono comparti energivori tanto quanto gli altri», tuona Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare. Che si dice seccato: quando si parla di aiuti, nessuno menziona il settore alimentare. «Anche noi abbiamo bisogno di sostegni – dice – a differenza di altri comparti, noi non ci possiamo fermare, perché abbiamo un ruolo sociale. I cittadini non possono stare senza mettere il cibo in tavola. Ma il risultato è che noi lavoriamo in perdita». Vacondio gestisce il mulino di famiglia: «Le faccio il mio esempio – dice – l’anno scorso spendevo 80mila euro al mese di bolletta elettrica, ora sono a 200mila euro». Nella trasformazione dei cereali, i margini medi di guadagno sono molto bassi, intorno al 3%: difficile sostenere a lungo aumenti così.
Nell’alimentare i costi energetici sono lievitati fra il 200% e il 300%. E il rischio, per una parte del tanto decantato made in Italy, è quello di tirare giù la serranda. Con buona pace anche dell’occupazione: secondo le stime dell’ufficio studi di Federalimentare, nel 2022 si rischiano fino a 40mila posti di lavoro in meno per chiusura di attività. Vuol dire tra il 5 e il 10% dell’occupazione totale del settore. L’industria alimentare conta su una platea di circa 55mila aziende, di cui meno di 7mila superano la soglia dei 9 addetti. La polverizzazione del settore è grande: «Le piccole aziende sono sul Titanic – dice Vacondio – qui si corre il rischio di far morire tante Pmi. Sono quelle più flessibili, quelle che tutelano di più il patrimonio enogastronomico del Paese, e quelle che stanno guadagnando di più dall’export».
Nel settore alimentare, dove di solito si produce sette giorni su sette, per rimanere a galla qualcuno ha già cominciato a ridurre le giornate lavorative, oppure a far andare i macchinari lontano dalle ore di punta dei consumi energetici. «O otteniamo aiuto sotto forma di sconti sulla bolletta, al pari di altri settori industriali – dice il presidente di Federalimentare – oppure per non chiudere dovremo scaricare gli aumenti sul consumatore finale. Ma questa non mi sembra la via migliore, perché così rischiamo di bloccare i consumi. Siamo nel pieno di una nuova pandemia, di carattere economico ed energetico. In piazza non rischiamo di vederci solo gli abitanti del Kazakhistan». Vacondio fa appello anche alle banche: «Ci occorre maggiore capacità finanziaria, per coprire gli aumenti e fare magazzino».