Il Sole 24 Ore. La pandemia cambia le performance dei sistemi sanitari, come era logico aspettarsi. Ma al di là degli effetti immediati e diretti, che mettono in luce le fragilità esistenti dei sistemi sanitari, la fotografia sia a livello europeo che regionale del Meridiano Sanità Index, che The European House – Ambrosetti elabora ogni anno e che presenta oggi a Roma, va letta e interpretata in prospettiva, come utile strumento per costruire il futuro della salute.
Partiamo dall’indice dello stato di salute. L’Italia scende di quattro posizioni rispetto al periodo pre pandemia, anche se rimane con un valore in linea con la media europea. Perchè? «Sono due in particolare gli indicatori impattati dalla pandemia: il primo è il tasso di mortalità – precisa Daniela Bianco, partner e responsabile area Healthcare di Ambrosetti – Il nostro Paese ha fatto registrare l’incremento maggiore del tasso di mortalità standardizzato per età (+19,1%), seguito dalla Spagna (+12,1%) e dal Belgio (+11,3%). Il secondo indicatore è l’aspettativa di vita alla nascita. Noi, in un anno (2020 rispetto al 2019) abbiamo perso 1,2 anni di aspettativa di vita, un calo che va ad annullare i progressi realizzati negli ultimi 10 anni, in cui si sono guadagnati 3 mesi ogni anno. È la prima volta dagli anni 60 che questo dato scende e avrà un impatto socio-demografico importante da considerare».
Altri dati che impatteranno nel medio periodo riguardano il calo degli screening oncologici e delle vaccinazioni che si sono registrate durante la pandemia. Alcune stime riportano che in tutta Europa le diagnosi mancate di tumore siano pari a 1 milione da inizio pandemia e si prevede un aumento del numero di nuovi casi oncologici del 21% entro il 2040. Nel 2019, invece, l’Italia, era al terzo posto in Europa dopo Svezia e Austria, con un tasso di copertura al di sopra della media europea sia per lo screening all’utero (79,7% vs 70,2%) che al seno (74,3% vs. 71,0%).
Risulta ancora una criticità l’obesità infantile: in Italia, infatti, circa il 30% dei bambini è in sovrappeso o è obeso, mentre solo 1 su 4 svolge attività fisica regolarmente. «L’anno prossimo, con l’aggiornamento dei dati al 2020, si potrebbe riscontrare il “covibesity”, un termine comparso in letteratura scientifica per descrivere l’aumento dell’obesità dovuto al confinamento imposto dalla pandemia – riprende Daniela Bianco -. Con il cambiamento delle abitudini alimentari e la riduzione dell’attività fisica, c’è infatti il rischio che l’indice di massa corporea nei bambini raddoppi».
Per quanto riguarda la capacità di risposta del sistema sanitario ai bisogni di salute, l’efficacia, l’efficienza e l’appropriatezza dell’offerta sanitaria e le risorse economiche per il sistema, l’Italia è penalizzata in termini di informatizzazione e accesso all’innovazione farmaceutica, anche se si è registrata un’accelerazione durante la pandemia (-18 giorni l’accesso ai farmaci e +104% l’attivazione dei fascicoli sanitari elettronici nei primi mesi del 2021). Ma di fatto, ciò che emerge è l’urgenza di inserire la resilienza fra le dimensioni chiave di valutazione della performance dei sistemi sanitari, in particolare nelle aree di accessibilità, qualità delle cure ed efficienza, come sottolineato anche nella dichiarazione dei Ministri della Salute del G20 di settembre 2021.
A livello di risorse economiche, nonostante si sia registrato un aumento della spesa sanitaria pubblica pro capite nel 2020, in Italia tale valore, a parità di potere d’acquisto è pari a 2.599 euro, inferiore rispetto a quello dei principali Paesi europei (Germania pari a 5.109 euro PPP; Regno Unito pari a 3.840 euro PPP). Però, nell’indice di Mantenimento dello stato di salute, oggi, l’Italia guadagna tre posizioni, ed è il primo tra i più grandi Paesi europei, dopo quelli del Nord Europea. Segnale che il nostro sistema sanitario ha retto abbastanza bene.
Le disuguaglianze regionali non cambiano
L’indice dello Stato di salute mostra una situazione cambiata rispetto al 2019: il 2020 è stato un anno che ha colpito profondamente alcune Regioni, come Lombardia ed Emilia Romagna, con un calo rispettivamente del -2,8% (-2,3 anni) e -1,4% (-1,2 anni) nell’aspettativa di vita e una mortalità aumentata tra il 17,2% e il 36,6%. «In Lombardia da 83,6 anni siamo scesi a 81,3 anni, cioè si sono persi 2,5 anni di vita tornando ai valori del 2006 – spiega Daniela Bianco, partner e responsabile area Healthcare di Ambrosetti – Un dato con cui la Regione dovrà convivere nei prossimi anni e che è in linea con il documento di programmazione regionale di prevenzione e promozione della salute che sta portando avanti la vicepresidente e assessore al Welfare, Letizia Moratti.
Nell’indice di mantenimento dello stato di salute, l’impatto del Covid-19 si riscontra soprattutto nella riduzione dei tassi di copertura vaccinale in tutte le fasce d’età, ma soprattutto negli adolescenti, con un calo non trascurabile e con valori ben al di sotto della soglia che garantisce l’immunità di gregge. L’impatto è stato diverso da Regione a Regione: la Toscana è sicuramente la Regione che ha saputo mantenere alte le coperture vaccinali nonostante il difficile momento, raggiungendo la soglia di immunità di gregge per tutte le vaccinazioni in età pediatrica (eccetto per lo pneumococco), mentre la P.A. Bolzano (come negli anni precedenti), registra i livelli più bassi.
Anche per gli screening la pandemia ha fatto registrare un drammatico rallentamento delle attività con un’ampia difformità regionale: se in Valle d’Aosta l’80,8% delle donne ha effettuato una mammografia nel periodo 2017-2020, in Campania questa percentuale scende al 24,5%; se in Lombardia il tasso di copertura nella campagna di screening per il tumore al colon negli ultimi quattro anni è stato pari al 71,4%, tale percentuale scende al 4,2% per la Calabria.
Mettendo infine in relazione le performance dei sistemi sanitari regionali nell’indice dello Stato di salute e nell’indice di Mantenimento dello stato di salute emerge una relazione positiva tra le due grandezze: le Regioni con lo stato di salute della popolazione migliori (tutte del Centro-Nord) sono anche quelle caratterizzate da un indice di mantenimento dello stato di salute maggiore. Insomma, nonostante la pandemia che ha penalizzato inizialmente le regioni del Nord, il divario tra Nord/Centro e Sud sembra ancora molto presente anche se con alcune eccezioni.