Il Corriere del Veneto. La dicotomia rischia di togliere forza alla protesta di una categoria che la pandemia se l’è caricata sulle spalle un anno e mezzo fa e ancora deve affrontarla dalla prima linea. Da una parte 767 medici (una cinquantina nel Veneto) non ancora vaccinati contro il Covid, e sospesi da lavoro e stipendio, dall’altra il resto di un esercito indispensabile che chiede al governo la terza dose immediatamente. Rivendicazione condivisa con i vertici delle case di riposo, altrettanto refrattarie al cronoprogramma illustrato dal generale Francesco Figliuolo, commissario per l’emergenza, che dal 20 settembre al 15 ottobre almeno prevede il nuovo richiamo per i pazienti fragili e immunodepressi (220mila nella nostra regione); da metà del prossimo mese a inizio novembre fissa il via libera per ospiti e dipendenti delle Rsa (rispettivamente 33mila e 25mila in 346 strutture); entro la fine dell’anno prevede il turno degli over 80 (406.754) e infine quello dei sanitari (153.871, compresi i privati).
Secondo questo schema proprio i professionisti più esposti, deputati a curare le persone e quindi a reggere il sistema, rischiano di slittare all’inizio del nuovo anno, nonostante la circolare a tema del ministero della Salute chiarisca alle Regioni la necessità di somministrare la dose «booster» a sei mesi dalla seconda. «Secondo gli studi disponibili, la durata degli anticorpi prodotti dal vaccino è inquadrata tra 6 e 8 mesi e noi, come il resto del personale sanitario, siamo stati i primi ad assumerlo, a partire dal 27 dicembre 2020 — ricorda Giovanni Leoni, vicepresidente nazionale della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) e numero uno a Venezia — quindi la protezione è scaduta. E infatti diversi colleghi si stanno reinfettando, non in forma grave, ma comunque devono stare in quarantena. E se a loro si sommano i camici bianchi no vax sospesi, la tenuta del sistema è a rischio. Bisogna procedere con la terza dose già in autunno, per prevenire reinfezioni e garantire una piena efficienza nell’assistenza ai malati». E in effetti le Regioni già lavorano al progetto. «Le Usl, in collaborazione con noi e i medici di famiglia, stanno predisponendo i piani per la vaccinazione delle prime quattro categorie a rischio — rivela Francesco Noce, presidente regionale della Fnomceo — si devono stringere i tempi, anticipando la terza dose per i sanitari prima possibile. Del resto fiale e strutture non mancano: hanno pure riaperto i centri vaccinali interni agli ospedali, nonostante gli hub esterni lavorino ormai a mezzo servizio. Così si disperde personale, con il rischio di dover chiudere servizi o reparti ed è un altro problema. Nelle prossime ore segnalerò tutto alla Regione».
Procedere immediatamente è un’urgenza anche secondo Domenico Crisarà, coinvolto nella doppia veste di presidente dell’Ordine dei Medici di Padova e vice nazionale della Fimmg, la sigla dei dottori di famiglia. «Possiamo ragionare in base all’attività degli operatori sanitari e quindi al loro grado di esposizione al virus — dice — dando la precedenza a chi lavora per esempio agli Infettivi o nelle Rsa. Ma qualcuno mi deve spiegare qual è la logica che prevede per noi la terza dose a distanza di un anno dalla seconda, se lo stesso ministero la colloca a sei mesi. Tra l’altro già partiamo da una carenza cronica di medici, che ci impedisce per esempio di sostituire i medici di famiglia assenti per vari motivi: che succede se si ammalano gli anestesisti, gli specialisti più ricercati? Da anni le Regioni denunciano la mancanza di camici bianchi e poi fanno ammalare quelli che hanno?».
In effetti l’ultimo report di Azienda Zero segnala 222 operatori sanitari positivi al Covid-19, tra cui 33 medici e 63 infermieri. «Siamo gli unici per i quali vige l’obbligo vaccinale e dobbiamo aspettare per avere diritto alla terza dose? — si chiede Giampiero Avruscio, presidente Anpo (primari) Padova — Eppure siamo soldati in trincea, medici di clausura da un anno e mezzo, ma soprattutto dobbiamo stare a contatto con i malati, non possiamo rischiare di infettarli. Adesso i contagi del personale ospedaliero sono sotto controllo però se dovessero aumentare per chi resta in corsia, ed è ormai allo stremo delle forze, scatterebbe un carico di lavoro doppio, situazione ingestibile. La Regione lo faccia presente al governo — chiude Avruscio — o subiremo tutti le conseguenze di scelte politiche lontane dalla realtà. E rischiose».