A distanza di un anno dal primo focolaio Covid allo stabilimento Aia di Vazzola (Treviso), che arrivò ad oltre 200 positivi, riprendono i cluster nei macelli della Marca con un nuovo focolaio in un impianto di Loria. Il tempo e le esperienze di questi mesi dovrebbero essere stati di insegnamento, ma ci allarma il fatto che su temi come la corretta gestione delle regole Covid nei luoghi di lavoro, le modalità di accesso del personale e i piani di sicurezza aziendali sia sceso un preoccupante silenzio.
I veterinari in servizio nelle Ulss del Veneto sono esposti al contagio durante lo svolgimento delle attività ufficiali nel territorio ed in particolare proprio all’interno degli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni. Dal settembre 2020, a fronte di numerosi cluster, diverse decine di veterinari pubblici veneti hanno contratto il Covid-19, alcuni in forma grave, e un collega, contagiato in servizio è deceduto.
Nei mesi scorsi era stato predisposto un piano mirato sulle misure anticontagio e sulla gestione dei focolai da parte dell’Istituto superiore di sanità che prevedeva specifiche attività di controllo da parte degli operatori del settore della macellazione e lavorazione delle carni, con la collaborazione e la supervisione dei Servizi veterinari della Asl. I macelli sono strutture notoriamente ad elevato rischio diffusione del virus, in cui sarebbe opportuno che, non solo i veterinari pubblici soggetti all’obbligo, ma anche tutti gli addetti fossero vaccinati. Oggi, davanti a casi come quello del macello di Loria, vorremmo sapere se quei piani Anticovid e le Check di controllo siano stati effettivamente applicati. E se sulla loro applicazione vi siano state puntuali verifiche e che esiti abbiano dato.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in queste situazioni non sono di grande aiuto generiche rassicurazioni del tipo “i lavoratori colpiti sono stranieri, il contagio viene dall’esterno o si tratta di casi isolati”. Né può continuare a passare la logica che per non fermare la produzione si metta a rischio la sicurezza dei lavoratori o che ci si limiti ad un tracciamento interno che non coinvolga le famiglie dei contagiati e le persone legate a vario titolo, fornitori e indotto, a quell’attività lavorativa.
E’ importante quindi sapere non solo quanti addetti lavorino all’interno dell’impianto e quanti di loro siano immunizzati, ma anche quante e quali persone siano state tracciate, che strategia di controllo e monitoraggio sia stata adottata, quali azioni di completa e risolutiva sanificazione degli impianti si stiano mettendo in atto.
Va prestata molta attenzione anche a fronte dell’arrivo di nuove varianti che potrebbero far peggiorare ulteriormente la situazione in questi impianti, mettendo a rischio, non solo la salute delle persone, ma anche il sistema di approvvigionamento del settore carni
Infine una osservazione: dopo la serie di eventi che ha colpito i macelli nei mesi scorsi, anche a fronte dell’ampia offerta vaccinale in Veneto, preoccupa che non siano ancora state immunizzate sistematicamente le categorie di lavoratori a rischio, come sono gli addetti dei macelli. Certamente non aiuta il fatto che molti di loro siano inseriti in contesti lavorativi di appalti e sub appalti che li rendono praticamente invisibili. Si parla di loro soltanto quando s’infettano. Eppure sono a diretto contatto quotidiano con personale del Servizio sanitario nazionale, in situazioni valutate ad elevato rischio contagio. Nei report periodici che Inail dedica al conteggio delle malattie da Covid il numero dei lavoratori degli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni contagiati viene definito costantemente “cospicuo” .
1 settembre 2021