Repubblica. La partenza del “Green deal”, il pacchetto verde della Commissione Ue, non solo parte in salita. Ma determina la più grande spaccatura dell’Unione degli ultimi anni. Paesi divisi, Commissione disgregata. Con due “squadre” che attaccano il provvedimento da posizioni diverse. Ma comunque critiche. E al centro la presidente del “governo comunitario”, Ursula von der Leyen, colpita dal fuoco incrociato.
Il palcoscenico principale si è materializzato l’altro ieri durante la riunione collegiale della Commissione. Ma i primi segnali si erano avvertiti, già il giorno prima. Nel corso del cosidetto Coreper, il comitato composto dai rappresentanti governativi e che di fatto prepara tutti i dossier.
Cosa è accaduto allora a Palazzo Berlaymont? È successo che almeno la metà dei 27 commissari hanno iniziato a esprimere le loro perplessità sul cosiddetto “Fit for 55”. Un commissario, l’austriaco Johannes Hahn con delega al Bilancio, ha addirittura chiesto che venisse messo a verbale il voto contrario. La sua posizione, però, non era isolata. I rilievi sono stati mossi su questioni e temi così ampi che si sono formate due “squadre”, entrambe molto combattive nel reclamare correzioni alle dodici proposte. Nessuno vuole bocciare il progetto, modificarlo sì.
Da una parte allora Francia, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo. Con il francese Thierry Breton ad aprire le danze. Dall’altra quasi tutti i paesi dell’est europeo, in particolare quelli sovranisti di Visegrad, capitanati dal vicepresidente della Commissione, il lettone Valdis Dombrovskis. Le osservazioni di questo secondo gruppo, in realtà, erano considerate scontate. Meno che fosse pilotato dall’esponente della Lettonia, solitamente molto prudente. I loro appunti: target troppo ambiziosi. La decarbonizzazione, per sistemi che hanno ancora una pesante presenza di centrali a combustione fossile – come la Polonia – viene considerata troppo rapida.
Ma quel che ha sorpreso di più Ursula von der Leyen e l’ideatore delle misure, l’olandese Frans Timmermans, è stata la prima “squadra”. Breton, appunto, è stato durissimo. Sia nel corso della Commissione sia nei giorni precedenti. Ha addirittura ventilato la possibilità di cancellare un’intera parte del pacchetto: quello relativo all’energia. Seguito da Paolo Gentiloni che, seppure con toni molto meno ultimativi, ha invitato a riflettere su alcune misure. E con loro lo spagnolo, Josep Borrel. Persino l’irlandese, Mairead Mc-Guinness, faceva notare nei giorni precedenti l’incontro collegiale che bisognava valutare le esigenze dei Paesi più piccoli, come l’Irlanda.
I primi appunti si sono concentrati sul prezzo dei carburanti e sugli Ets, ossia i certificati che danno diritto a inquinare. La Francia ha più di un dubbio. I “gilet gialli” sono esplosi Oltralpe proprio per l’aumento delle tasse sulla benzina. E Macron deve affrontare le elezioni tra meno di un anno. Così come l’Italia è in allerta per gli effetti su trasporti e riscaldamento domestico. E, in qualità di importatrice di materie prime, sui “dazi ambientali”.
La Svezia ha centr ato l’attenzione su una questione specifica legata alla gestione delle foreste. Poi sono emersi altri due elementi. Il Fondo sociale per il Clima – che in un primo momento aveva delle condizionalità, poi rimosse su pressing del commissario agli Affari economici – ha provocato la preoccupazione che possa favorire i paesi più in ritardo sulle decarbonizzazione: in sostanza che i soldi vadano in larga parte a Polonia e Ungheria. L’altro aspetto riguarda i contributi che ogni Stato dovrà versare per conseguire gli obiettivi. Quota stabilita in base al Pil pro capite del 2013. Da allora, però, tanti sono i Paesi che hanno visto flettere la loro ricchezza.
La situazione, insomma, a Bruxelles è agitata. Molti coltivano il retropensiero che l’affondo sul Clima sia legato al prossimo voto in Germania. Dove la Cdu – il partito della Von der Leyen – dovrà vedersela in particolare con i Verdi. Ma a questo punto i tempi di approvazione improvvisamente si sono allungati. Fino alle elezioni francesi della primavera 2022 nemmeno se ne parla.
Anche perchè la “squadra” franco- italiana non potrà accettare che il “Green deal” diventi il nuovo ossigeno in grado di rianimare il fronte sovranista.