Il Sole 24 Ore. Emergenza Covid: ora c’è lo scudo penale per il personale sanitario, che ha dovuto affrontare diagnosi e cura di migliaia di malati facendo i conti con scarse conoscenze, mezzi e terapie talvolta inadeguati e dovendo spesso scegliere a chi dare priorità. Punibile solo il dolo e la colpa grave. Con l’introduzione, in sede di conversione in legge, dell’articolo 3-bis del Dl 44/2021, si è ampliato l’ambito della causa di non punibilità, già prevista per i vaccinatori, a tutti gli esercenti professioni sanitarie (con finalità preventiva, diagnostica, terapeutica, palliativa, riabilitativa o di medicina legale). TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 1 aprile 2021, n. 44
Tutto il personale sanitario, dunque, per i fatti di omicidio e lesioni colpose commessi durante lo stato di emergenza epidemiologica sin dalla sua dichiarazione (il 31 gennaio 2020) e che trovano causa nella «situazione» di emergenza, sono punibili solo per colpa grave. Questa va valutata tenendo conto, tra l’altro, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da Sars-CoV-2 e sulle terapie appropriate, della scarsità delle risorse umane e materiali disponibili in relazione al numero dei casi da trattare (per esempio, numero di posti letto in terapia intensiva, disponibilità di farmaci e tecnologie o di personale medico/infermieristico di turno), nonché del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per l’emergenza.
La disposizione, retroattiva e ultrattiva in quanto di favore e temporanea, prevede una limitazione della rilevanza, per omicidio o lesioni colpose (escluse quelle dolose o i diversi reati di epidemia o di rifiuto di atti d’ufficio) della sola colpa grave, in qualsiasi forma essa si sia manifestata in relazione a condotte (così, le Sezioni unite 40986/2018) tenute durante lo stato di emergenza (si pensi, ad esempio, alla scelta di chi curare prima o all’impiego di farmaci off label) e a eventi (morte o lesioni) connessi o meno a patologie Covid che, ove anche realizzatisi a emergenza cessata, trovino in quella situazione la propria causa (foss’anche l’abbassamento dei livelli assistenziali in ragione del carattere prioritario, diffusivo e incontrollato della pandemia).
Il legislatore individua tre indici di gravità della colpa – limitazione delle conoscenze scientifiche, certezza e uniformità di giudizio, scarsità delle risorse umane e materiali e minor grado esperienza e del personale impiegato non specializzato – affidando al giudice il compito di valutarli insieme, per esempio, al numero di pazienti contemporaneamente coinvolti nelle cure, agli standard organizzativi della singola struttura in rapporto alla gestione dello specifico rischio clinico, volontarietà della prestazione, tempo a disposizione per assumere decisioni/agire, oscurità del quadro patologico, grado di atipicità, eccezionalità o novità della situazione, per garantire certezza e uniformità di giudizio. Si tratta di valutazioni di merito che, seppur non in grado di escludere sempre l’avvio di indagini preliminari, specie in ragione del sotteso accertamento di un nesso eziologico con la situazione di emergenza possono evitare l’instaurazione quantomeno di processi (attraverso archiviazioni o all’esito di contraddittorio ma comunque in tempi ragionevoli) ove non si riesca a muovere subito un rimprovero soggettivo qualificato al sanitario. C’è anzi da sperare che la disposizione assurga a modello per una disciplina della responsabilità penale del sanitario che superi l’attuale formulazione dell’articolo 590-sexies del Codice penale (limitato alle ipotesi di imperizia e condizionata al rispetto di linee guida accreditate o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alla specificità del caso concreto) per conferire piuttosto carattere di concretezza e vincolatività al principio generale già desumibile dall’articolo 2236 del Codice civile (Sezioni unite, 8770/2018) tuttora rimesso all’apprezzamento giurisprudenziale.