Nel rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti-COVID-19” del 13 marzo 2021, vengono riportare alcune utili informazioni sui vaccini attualmente in uso e sui tempi in cui, dopo la somministrazione, essi sviluppano la protezione. Tempi di cui occorrerà tenere conto nel dare indicazioni comportamentali ai soggetti vaccinati. Sapere di aver ricevuto il vaccino, senza conoscere quale sia il periodo in cui esso diventa pienamente attivo, potrebbe indurre nei vaccinati una sensazione di falsa sicurezza e spingerli a non osservare le necessarie misure di prevenzione, concorrendo così alla diffusione del contagio.
Protezione dalla malattia, tempo di azione dei vari vaccini in uso
Sulla base dei dati delle procedure autorizzative, il vaccino Comirnaty della BioNtech/Pfizer protegge al meglio dalla malattia COVID-19 sintomatica a partire da circa una settimana dopo la somministrazione della seconda dose di vaccino, che deve essere somministrata a distanza di 3 settimane (21 giorni) dalla prima dose. Tuttavia, le evidenze mostrano una certa protezione anche dopo una decina di giorni dalla prima dose.
Per quanto riguarda il vaccino Moderna, la vaccinazione prevede due dosi a distanza di 4 settimane l’una dall’altra (28 giorni) e la protezione risulta ottimale a partire da due settimane dopo la seconda dose.
Infine, per quanto riguarda il vaccino prodotto da AstraZeneca, la protezione inizia circa 3 settimane dopo la somministrazione della prima dose e persiste fino alla dodicesima settimana, quando deve essere somministrata la seconda dose di vaccino.
Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire
SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio.
Protezione dei vaccini in uso dalle varianti di interesse
Al momento ci sono dati piuttosto frammentari sulla capacità neutralizzante nei confronti delle VOC di sieri ottenuti dopo vaccinazione con i preparati al momento autorizzati. Studi preliminari in vitro condotti sulla risposta immunologica (umorale e cellulare) evocata dai due vaccini a mRNA, BioNtech/Pfizer e Moderna, hanno evidenziato una ridotta attività neutralizzante da parte del siero dei soggetti vaccinati nei confronti della variante sud-africana e della variante brasiliana. Inoltre, secondo uno studio in preprint, l’efficacia del vaccino AstraZeneca risulterebbe bassa per prevenire forme di malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano, a dimostrare la capacità della variante di eludere parzialmente la risposta immunitaria evocata dal vaccino.
Non è ancora noto quale sia l’impatto delle varianti per la protezione nei confronti delle forme di malattia severa, con ospedalizzazione ed esito letale. La WHO afferma che lo studio ha un campione troppo limitato per una valutazione sulla malattia severa ma che evidenze indirette mostrano una protezione contro questa forma; alla luce di ciò, la WHO raccomanda attualmente l’uso del vaccino AZD1222 di AstraZeneca secondo la già stabilita roadmap nazionale di definizione delle priorità, anche se sono presenti varianti in un Paese.
La durata della protezione
Per nessuno dei vaccini in utilizzo è nota al momento la durata della protezione ottenuta con la vaccinazione. Gli studi che attualmente sono in corso forniranno in futuro utili informazioni a tale riguardo.
Tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari, devono continuare a utilizzare rigorosamente i DPI, i dispositivi medici prescritti, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni secondo la valutazione del rischio, indipendentemente dallo stato di vaccinazione e aderire a eventuali programmi di screening dell’infezione.
È noto che i vaccini anti-COVID-19 riducono significativamente la probabilità di sviluppare la malattia clinicamente sintomatica. D’altro canto, si ribadisce che nessun vaccino anti-COVID-19 conferisce un livello di protezione del 100%, la durata della protezione vaccinale non è ancora stata stabilita, la risposta protettiva al vaccino può variare da individuo a individuo e, al momento, non è noto se i vaccini impediscano completamente la trasmissione di SARS-CoV-2 (infezioni asintomatiche). Quindi, seppur diminuito, non è possibile al momento escludere un rischio di contagio anche in coloro che sono stati vaccinati.
Questo è coerente con quanto ribadito dall’ECDC che riporta come, al momento, non vi siano prove sufficienti dell’effetto della vaccinazione sull’infezione asintomatica, e, quindi, sulla possibilità di trasmissione del virus da parte di soggetti vaccinati. Pertanto, i lavoratori/operatori sanitari nonostante siano stati sottoposti a vaccinazione devono essere considerati potenzialmente in grado di infettarsi con SARSCoV-2 e di trasmettere il virus ad altri. In conclusione, ogni lavoratore, inclusi gli operatori sanitari, anche se ha completato il ciclo vaccinale, per proteggere sé stesso, gli eventuali pazienti assistiti, i colleghi, nonché i contatti in ambito familiare e comunitario, dovrà continuare a mantenere le stesse misure di prevenzione, protezione e precauzione valide per i soggetti non vaccinati, in particolare osservare il distanziamento fisico (laddove possibile), indossare un’appropriata protezione respiratoria, igienizzarsi o lavarsi le mani secondo procedure consolidate.