E’ all’esame della Commissione Sanità del Senato il disegno di legge recante disposizioni volte ad incentivare il raggiungimento di standard qualitativi elevati dei prodotti agroalimentari italiani introducendo un sistema di rating per la certificazione di eccellenza e riforma del sistema di prevenzione, programmazione e controllo nella sanità pubblica veterinaria (AS. 1660 Maria Cristina Cantù – Lega). Il disegno di legge – 11 articoli in tutto – porta la firma di 53 senatori. L’articolato, in tutto 12 articoli, agisce su tre fronti principali: prevenzione e dei controlli di sicurezza alimentare, governance della sanità pubblica veterinaria e formazione specialistica veterinaria.
Dalla relazione al Ddl
Il disegno di legge si prefigge lo scopo di intervenire su molteplici aspetti interdipendenti dell’ambito sanitario indirizzati alla piena tutela della salute. Si tratta, innanzitutto, della prevenzione e dei controlli di sicurezza alimentare e di appropriatezza nutrizionale, nonché della governance della sanità pubblica veterinaria e, infine, della formazione specialistica veterinaria. Questi tre settori da anni richiedono non solo una riforma, ma anche un potenziamento quanti-qualitativo che veicoli un elevato livello di tutela della salute dei consumatori assicurando che il loro diritto all’informazione sia precipuamente finalizzato all’educazione alimentare e alla promozione di sani stili di vita, qualificando il tutto in maniera anche evolutiva rispetto alle disposizioni contenute nel regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, tenuto conto delle novità apportate dal regolamento (UE) 625/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017.
Quest’ultimo, infatti, entrato in piena applicazione, abrogando, tra gli altri, il regolamento (CE) n. 882/2004, disciplina i controlli e le altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari.
L’impatto ordinamentale in materia di «controlli ufficiali» dovuto al nuovo regolamento rappresenta una leva strategica estremamente significativa nella messa a punto di un processo di revisione che sta cambiando il paradigma della sanità pubblica veterinaria secondo una visione di prevenzione e promozione globale della salute individuale e collettiva, secondo un approccio one health, che ha come focus cruciale l’intera filiera alimentare e della sua relativa sicurezza sotto ogni profilo anche nutrizionale, comprendendo alimenti, mangimi, salute e benessere degli animali, sanità delle piante, prodotti fitosanitari, prodotti biologici ed Ogm.
Attualmente, a livello nazionale, c’è una forte disomogeneità organizzativa, con livelli prestazionali differenti e frammentati che provocano grosse ripercussioni sulla commercializzazione e sull’export dei prodotti di origine animale italiani, a causa dei diversi standard sanitari raggiunti nelle diverse regioni, sia riguardo alla sanità animale che alle produzioni di origine animale. La stessa disomogeneità, che comporta a volte controlli inefficaci, espone inoltre al rischio di subire penalizzazioni in materia di premi comunitari nell’ambito della cosiddetta «Condizionalità».
Occorre, quindi, intervenire, secondo i proponenti, con nuovi strumenti di programmazione e controllo, a garanzia di adeguati standard uniformi su tutto il territorio nazionale. Anzitutto, il Piano nazionale integrato della prevenzione veterinaria (PNIPV) assume prioritaria rilevanza strategica non più rimandabile, tenuto anche conto dei delicati processi di attuazione di cui alla normativa europea su richiamata, in ragione della prescritta generale applicazione entro il corrente esercizio con conseguenti implicazioni non solo ordinamentali, ma di diretto impatto economico e di crescita competitiva.
La consistenza e frequenza dei controlli deve, infatti, essere sempre più collegata ai rischi che un prodotto o un processo presentano rispetto alla frode, alla salute, alla sicurezza, al benessere degli animali o all’ambiente, secondo standard di indipendenza e terzietà di processo. Altri fattori inclusi nella valutazione del rischio sono, ad esempio, dati precedenti di conformità relativi all’operatore o la probabilità che i consumatori siano indotti in errore circa alcune caratteristiche del prodotto alimentare.
A questo proposito, controlli più indipendenti consentirebbero di gestire nel modo migliore le risorse economiche, organizzative e funzionali e, conseguentemente, di programmare adeguatamente investendo in capitale umano e strumentale a tutti i livelli della filiera sulle aree in cui le verifiche devono essere prioritarie.
In particolare, il sistema dei controlli ufficiali deve essere integrato e affiancato da un sistema di rating prestazionale, in coerenza con i fondamentali princìpi di assoluta terzietà, trasparenza, tracciabilità oggettivizzata, responsabilità, analisi e graduazione del rischio. In questa logica, come sistema Paese, si ritiene di promuovere un modello evolutivo di valutazione e certificazione su base volontaria che coinvolga anche il mondo associativo, con architettura che utilizzi la tecnologia fornita dalle piattaforme informatiche multifunzionali Blockchain, che permetta con l’autorevolezza dell’oggettività di coniugare il sistema dei controlli ufficiali in materia di sicurezza alimentare con la valorizzazione delle eccellenze del made in Italy, accreditandolo in chiave non solo europea ma mondiale, con controlli indipendenti da parte di soggetti scelti secondo princìpi di casualità, di trasparenza e di effettiva rispondenza ai parametri dichiarati.
Ciò rappresenta non soltanto una garanzia nei confronti dei consumatori ma anche una tutela per le filiere agroalimentari italiane, anche rispetto a modelli alimentari non corretti che mettono a rischio la salute dei cittadini e le eccellenze del made in Italy.
Il sistema di rating nei prodotti agroalimentari tende a valutare l’eccellenza in tutta la filiera della produzione. È infatti fondato sulla valutazione della corrispondenza degli operatori della filiera a criteri che determinano livelli più alti ai normali standard di conformità nelle diverse fasi della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e che si basano in primo luogo sulla necessità di accertare un nesso comprovato tra la provenienza e la qualità dell’alimento, ai sensi dell’articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, anche in ragione degli effetti positivi per la salute, secondo il rapporto tra la proprietà nutritiva e la giusta modalità di consumo nel corso della giornata, tenuto conto di quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
Tale sistema rappresenterebbe dunque una best practice nel panorama europeo ed internazionale conferendo all’Italia un ruolo di assoluta centralità nella definizione di un modello basato sui princìpi di una sana ed equilibrata dieta alimentare. Nel contempo la promozione di una sana alimentazione consapevole contribuirebbe a determinare una significativa riduzione della spesa sanitaria posto che molti dei determinanti ambientali e sanitari delle patologie tumorali e delle malattie cronico degenerative traggono origine dal consumo di bevande e cibi non salutari.
La carenza di personale in sanità pubblica veterinaria
Le note criticità nelle attività di prevenzione e controllo come sistema Paese sono riconducibili anche alla carenza di personale adeguatamente specializzato che rischia di mettere in crisi sistemica la sanità pubblica veterinaria in ragione del grave impoverimento di competenze e conoscenze del servizio sanitario veterinario. Quest’ultimo, nel quadro più generale di un SSN nel tempo depauperato dal blocco del turn over e dai collocamenti a riposo, è aggravato dal fatto che le aziende sanitarie vengono a «formare» personale, arruolato con tipologie di contratto convenzionali e contratti di collaborazione a vario titolo, che una volta preparato trova sbocchi anche nel settore privato. Il contemporaneo impiego dello stesso personale presso le aziende sanitarie locali e nel privato, anche con opzioni prestazionali giuridicamente compatibili nell’attuale ordinamento in termini di pluralità di incarichi, comporta ricadute fortemente critiche per le attività istituzionali di vigilanza e controllo rispetto alla garanzia di piena dicotomia controllore/controllato.
Tale situazione si ripercuote su tutte le tre aree funzionali in cui, come noto, è suddivisa la sanità pubblica veterinaria:
1) sanità animale;
2) igiene delle produzioni, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati;
3) igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche.
In proposito, rileva l’articolo 18 del nuovo regolamento che, nel ridisegnare la figura del veterinario ufficiale, ne qualifica puntuali competenze (e conseguenti skills attese), dettando norme specifiche sui controlli ufficiali e sui provvedimenti delle autorità competenti – i cui controlli, si ricorda, che rientrano tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) – in merito alla produzione di prodotti di origine animale destinati al consumo umano.
Come noto, la legge 4 ottobre 2019, n. 117, individua nel Ministro della salute, nelle regioni, nelle province autonome e nelle aziende sanitarie locali (secondo la disciplina istitutiva del Servizio sanitario nazionale della legge 23 dicembre 1978, n. 833), ciascuna nell’ambito delle rispettive funzioni, le autorità competenti per la sicurezza alimentare e per gli interventi ordinari in sanità pubblica veterinaria e polizia veterinaria. In caso di emergenza sanitaria, valgono anche le attribuzioni specifiche proprie del sindaco in qualità di autorità sanitaria locale. In applicazione dei regolamenti europei, le autorità competenti procedono alla registrazione o al riconoscimento degli stabilimenti produttivi e svolgono i controlli ufficiali su base ordinaria in conformità con i princìpi del cosiddetto «Pacchetto igiene», al fine di verificare il rispetto delle disposizioni da parte degli operatori della filiera alimentare, cui è attribuita la primaria responsabilità della sicurezza dei prodotti che immette sul mercato.
Nel corso dei controlli ufficiali, a fronte del riscontro di eventuali non conformità, l’Autorità competente, sulla base della loro natura e della valutazione dei rischi ad esse correlati, adotta le opportune misure, che possono variare dalla prescrizione di azioni correttive, da attuarsi a cura dell’operatore, fino alla sospensione o revoca dell’attività o all’applicazione delle sanzioni specificamente previste.
Infine, per quanto concerne le importazioni, le attività di controllo, accertamento e verifica di natura non sanitaria fanno capo all’Agenzia delle dogane e dei monopoli, che, accanto alle funzioni doganali, svolge anche attività di prevenzione e contrasto dei traffici illegali.
In tutte le aree di interesse del disegno di legge, accanto alle attività di governo e di controllo ufficiale svolte dalle autorità competenti, rilevano anche le funzioni attribuite ai Corpi di polizia, organo di controllo per le specifiche indagini investigative correlate ad inchieste giudiziarie o a programmi di repressione degli illeciti penali. Queste attività, svolte di propria iniziativa o disposte dall’autorità giudiziaria, hanno caratteristiche molto diverse dai controlli ordinari soggetti a programmazione annuale, poiché partono da segnalazioni circostanziate ed utilizzano tecniche di indagine e strumenti coercitivi giustificati dall’esistenza di un’ipotesi di reato. Tali funzioni, come noto, vengono svolte da alcuni reparti specializzati dell’Arma dei carabinieri: dal Comando carabinieri tutela della salute (NAS); dal Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri; dal Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera; dalla Guardia di finanza.
Per la loro natura, questi controlli, rispetto a quelli svolti dalle autorità competenti, sono finalizzati alla ricerca di illeciti e alla persecuzione dei colpevoli, rappresentando di fatto un’organizzazione eccellente a livello nazionale e internazionale per la lotta alle frodi nel settore agroalimentare.
Stanti le loro caratteristiche e le specifiche finalità dei loro interventi, le organizzazioni di controllo non appartenenti al SSN non sono sottoposte ad audit di sistema da parte dell’Autorità competente centrale e dai servizi di audit e analisi della Commissione, operano in base a programmi di attività disposti dalle Amministrazioni di appartenenza e svolgono funzioni consultive nei confronti del punto di contatto nazionale e collaborano con le autorità competenti locali.
L’articolato
Sulla base di tali considerazioni il disegno di legge, che si compone di 11 articoli, ha la finalità ad implementare le misure di sicurezza alimentare e nutrizionale in ragione del nesso comprovato tra la provenienza, la qualità dell’alimento e i suoi positivi effetti sulla salute. Tale finalità, all’articolo 1, è perseguita attraverso: la revisione del sistema dei controlli incentrata su criteri sostanziali, raggiungibili anche grazie all’alta e continua formazione del personale addetto e allo sviluppo di piattaforme informatiche multifunzionali; l’istituzione di un sistema di rating per la valutazione della prestazione secondo criteri che determinano livelli di prestazione più alti ai normali standard di conformità; l’introduzione di un sistema duale di reclutamento del personale volto, da un lato, ad istituire un percorso di formazione specialistico professionale alternativo rispetto a quello attualmente in vigore e, dall’altro, ad avviare un percorso di riqualificazione della figura del medico specialistico veterinario.
Nel capo II, l’articolo 2, comma 1, individua, nel Piano nazionale integrato della prevenzione veterinaria lo strumento di programmazione nazionale che determina gli obiettivi della sanità pubblica veterinaria e gli interventi di prevenzione, controllo e vigilanza definiti quali LEA. Il Piano, che ha durata quinquennale, è adottato su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con l’intesa della Conferenza permanente per i rapproti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I commi da 7 a 14 disciplinano i criteri per la determinazione del rating di qualità, sicurezza e affidabilità degli alimenti volti in particolare ad assicurare il nesso comprovato tra la provenienza e la qualità dell’alimento, anche in ragione degli effetti positivi per la salute, secondo il rapporto tra le proprietà nutritive e il consumo appropriato nell’arco della giornata, in particolare con riferimento al contenuto di sale e acidi grassi saturi, e garantendo che i processi di trasformazione dell’alimento non ne alterino le proprietà nutritive e non determinino effetti negativi sulla salute del consumatore, prediligendo quelle modalità di trasformazione legate alla tradizione. L’istituzione del sistema di valutazione è demandata ad una apposita convenzione stipulata tra il Ministero della salute e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con un soggetto, pubblico o privato, che abbia un’esperienza pluriennale nei processi di valutazione del merito, riconosciuto in ambito europeo ed internazionale.
Infine, per sviluppare buone pratiche all’interno delle filiere agroalimentari viene istituito, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un fondo denominato «Eccellenze Italia», con una dotazione finanziaria di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 al fine di generare interventi di natura premiale in favore degli operatori della filiera a seguito di positiva valutazione del rating.
Gli articoli 3 e 4 dettano norme finalizzate a monitorare l’attuazione del Piano, nonché ad individuare un’azione di supporto al sistema dei controlli ufficiali, ai sensi del regolamento (UE) 625/2017.
L’articolo 5 detta disposizioni in materia di epidemio-sorveglianza, volte a migliorare la gestione del patrimonio zootecnico, anche attraverso il contenimento della fauna selvatica. Per tale finalità, le regioni provvedono ad adottare programmi operativi di sorveglianza, in ragione del fatto che gli animali selvatici possono rappresentare i serbatoi, i vettori o semplicemente ospiti occasionali di agenti eziologici responsabili di patologie di comune riscontro nella fauna selvatica, ma anche di patologie emergenti, talora anche a carattere zoonosico. Inoltre, la fauna selvatica rappresenta un efficace bioindicatore ambientale e sanitario. Ne discende che l’impatto derivante dall’attività di epidemio-sorveglianza trova concretezza non solo nella gestione e conservazione delle specie selvatiche, ma anche in termini di sanità animale e salute pubblica. Nel quadro dei regolamenti europei che collocano la caccia nell’ambito della produzione primaria e stabiliscono le regole per l’immissione sul mercato della selvaggina, si interviene con disposizioni volte a migliorare la gestione del patrimonio zootecnico attraverso iniziative volte, oltre che al contenimento della fauna selvatica, anche alla realizzazione di programmi di formazione dei coadiutori al controllo faunistico, nonché di specifiche campagne di informazione. Inoltre si prevede che le regioni, nell’ambito del piano regionale integrato della sanità pubblica veterinaria, predispongano linee guida per la commercializzazione e il consumo delle carni di selvaggina cacciata o derivante da piani di controllo, ivi compresa la cessione di piccole quantità al consumatore finale o al dettagliante a livello locale.
L’articolo 6 detta disposizioni in materia di farmaco-sorveglianza in ambito veterinario al fine di promuovere buone pratiche per il corretto impiego dei farmaci, attraverso il coinvolgimento di tutte le autorità a vari livelli interessate nella fase del controllo. Per tale ragione, nel quadro degli indirizzi specifici del PNIPV, si prevede che le regioni verifichino la corretta attuazione della recente normativa in materia di tracciabilità del medicinale veterinario, vigilando, in particolare, sul rispetto degli adempimenti derivanti dall’adozione della ricetta elettronica veterinaria, fatto salvo, ovviamente, il formato cartaceo per le fattispecie residuali. Quali ulteriori adempimenti in capo alle regioni, al fine di contrastare l’emergenza del fenomeno dell’antimicrobico resistenza (AMR), le stesse, sulla base della definizione di indicatori di consumo atti a paragonarne l’impiego nelle diverse specie e realtà produttive, individuano, altresì, ulteriori aree critiche e definiscono, di conseguenza, nel rispetto del benessere e della salute degli animali, interventi di contrasto all’impiego irrazionale di farmaci.
La genesi del capo III deriva dalle argomentazioni di seguito illustrate che, unitamente con le disposizioni contenute nel capo II, consentono di completare lo scopo riformatorio già citato del presente disegno di legge.
Le note gravi lacune programmatorie in materia di fabbisogni di risorse umane qualificate per il Sistema sanitario nazionale comporterà, quanto alla sanità veterinaria pubblica, una situazione in cui le funzioni della sanità pubblica veterinaria saranno oggettivamente impossibili da esercitare secondo princìpi di congruenza ed appropriatezza a causa della messa in quiescenza, nei prossimi cinque anni, del 40 per cento circa del personale veterinario dirigente dei Dipartimenti di prevenzione delle ASL e degli Istituti zooprofilattici sperimentali (IZS), che, attualmente, è costituito da una media di over 60.
Per evitare un crollo verticale della medicina veterinaria pubblica e delle funzioni di tutela della salute, in una logica di autentica competitività ed attrattività dei mercati agro-zootecnici-alimentari, è necessario, oltre a sbloccare il turn over dei veterinari, intervenire correttivamente con accorgimenti e meccanismi atti a rendere praticabile e sistematicamente sostenibile un potenziamento – sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo – della formazione specialistica per tutte le professioni veterinarie, assicurabile attraverso innovativi percorsi di preparazione teorico-pratica.
Le scuole di specializzazione in area veterinaria sono corsi post laurea usualmente di durata triennale che conferiscono il titolo necessario per l’accesso alla dirigenza del Sistema sanitario nazionale presso i servizi veterinari delle aziende sanitarie o degli IZS o l’accesso alle graduatorie di specialistica ambulatoriale. Oltre la norma di carattere generale di matrice europea contenuta nel decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, di attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli, l’organizzazione e l’attivazione dei corsi di specializzazione veterinaria sono in carico ai Dipartimenti veterinari degli atenei, a norma del decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca 27 gennaio 2006 e incardinati nelle tre aree funzionali sopra ricordate che corrispondono alle tre discipline concorsuali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale e dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 484, recante la determinazione dei requisiti per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l’accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale.
Le attuali modalità di reclutamento dei medici veterinari dei Dipartimenti veterinari e degli IZS, condizionate dalle restrizioni in essere sul turn over del personale del Servizio sanitario nazionale in combinato disposto con la rigidità dei tetti di spesa storicizzati, presentano come principale criticità quella dell’inserimento in organico del nuovo personale solo a seguito della messa a riposo di dirigenti a fine carriera, determinando in tal modo una discontinuità di competenze e conoscenze che rappresenta un danno indiretto al Servizio sanitario nazionale.
Una delle modalità di risoluzione di questa significativa criticità sarebbe quella di prevedere un adeguato ricambio generazionale tramite il coinvolgimento dello specializzando, sin dal primo anno e con la mediazione di un tutor aziendale, nelle attività svolte da veterinari ufficiali, in analogia con quanto avviene già nell’ambito della medicina umana, onde superare la discontinuità di competenze e conoscenze sopra richiamata. Al contempo, con tale soluzione, si avrebbe un impatto positivo sull’efficacia della formazione specialistica veterinaria collocata in un sistema formativo maggiormente integrato e con un più stretto legame tra preparazione teorica e pratica.
Parallelamente, dunque, a quanto auspicato per le specialità mediche, si afferma l’ineludibilità di prevedere che anche la medicina veterinaria nelle sue varie articolazioni, con pari dignità legislativa, sia interessata al nuovo percorso di formazione operativa, considerata l’importanza delle relative attività nella prevenzione e promozione della salute e la conseguente necessità di assicurare i migliori e compiuti processi di formazione e le conoscenze professionali dell’intera filiera di programmazione, indirizzo, coordinamento e gestione delle attività di sanità pubblica veterinaria.
Di qui la necessità di portare avanti l’esame del modello applicativo contenuto nel disegno di legge AS n. 1106, presentato nella legislatura in corso, riguardante il teaching hospital, estendendolo anche alle specializzazioni dell’area veterinaria, a tale scopo valorizzando, fin dai corsi di laurea e di specializzazione in ambito veterinario, il ruolo degli IZS, già definiti dalla normativa vigente quali enti di formazione e didattica nell’ambito della sicurezza degli alimenti e della sanità animale dove i medici veterinari specializzandi possono svolgere parte della formazione, ai sensi del decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106, e valorizzando, al contempo, anche il ruolo dei Dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie, nei quali gli specializzandi già compiono parte del tirocinio pratico e presso i quali deve essere implementata la formazione sul campo.
A tal fine, nel merito, l’articolo 7 prevede che il Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, sentite le regioni e le province autonome, individui le scuole di specializzazione per i medici veterinari di sanità pubblica e il contingente di specializzandi veterinari necessari al fabbisogno delle aree disciplinari di sanità animale, di igiene degli alimenti di origine animale e di igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche.
A seguito della summenzionata decretazione, i medici veterinari che, sulla base dei contingenti fissati con le modalità individuate dal decreto stesso, e nel limite numerico degli accessi definiti come di seguito, risultassero in posizione utile nelle graduatorie delle selezioni svolte da ciascuna scuola universitaria, potrebbero quindi accedere alla formazione nelle scuole individuate, previa stipulazione di contratti di apprendistato di alta formazione e ricerca training field per le specializzazioni veterinarie, istituiti nel successivo articolo, tra IZS e le aziende sanitarie e i candidati utilmente collocati in graduatoria nelle prove per l’accesso alle specializzazioni di cui all’articolo 36 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, che rispondono ai requisiti di cui all’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81.
L’articolo 8 dispone previsionalmente che tali contratti vengano inseriti nei programmi obiettivo competitività regionale e occupazione, quali progetti finalizzati agli obiettivi sopra citati, con l’equipollenza del titolo rispetto a quelli previsti dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368. Prevede, inoltre, che questi siano conteggiati in sovrannumero rispetto alla spesa per il personale già autorizzata e nel limite indicato dalle regioni.
In particolare, secondo quanto disposto dal comma 2 dell’articolo 8, il Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute è tenuto a stipulare, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, protocolli d’intesa con le regioni e le università atti a disciplinare le specifiche del modulo formativo, il numero di accessi, le modalità di frequenza del corso, lo svolgimento della parte teorica presso la sede universitaria e della parte pratica presso le aziende sanitarie locali e gli IZS, valorizzandone le sinergie in punto di collaborazione tecnico-scientifica e in chiave di multidisciplinarietà sul campo.
Inoltre, tali contratti possono, in considerazione della possibilità di acquisire personale già specificamente formato, costituire titolo prioritariamente valutabile dagli enti del SSN, nell’ambito delle procedure concorsuali per l’accesso ai ruoli dirigenziali.
L’articolo 9 prevede la figura del tutor senior, sotto la cui guida si svolge la formazione pratica degli specializzandi assunti con i contratti training field. Questi sono individuati tra i dirigenti degli IZS e dei Dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali con almeno cinque anni di anzianità di servizio, che, su base volontaria, al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento, decidano di trattenersi in servizio, con lo scopo prevalente di attività di formazione nelle strutture accreditate.
Infine, la norma dettata dall’articolo 10 è funzionale a rispondere alle contingenti necessità di assunzione in tempi brevissimi di figure specializzande che possano supplire alla rilevante carenza di professionalità strutturate. Si prevede, infatti, la possibilità di potere assumere specializzandi all’ultimo anno, nei limiti delle risorse di bilancio delle singole strutture. A questo riguardo è bene ricordare come, dopo l’intervento del legislatore nel decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60, si siano ampliate le possibilità di assunzione del comparto sanità da parte delle singole regioni grazie al superamento dell’obbligo di riduzione della spesa per il personale sanitario dell’1,4 per cento rispetto al livello di spesa del 2004.
Parallelamente, con il fine di evitare la sovrapposizione tra la figura del controllore e quella del controllato mediante lo stabilizzare nel sistema sanitario nazionale figure che, attualmente, a vario titolo, collaborano con le aziende sanitarie e svolgono, al contempo, anche la libera professione, l’articolo 10, da un lato, istituisce una percentuale minima di controlli che deve essere necessariamente svolta da personale interno e, dall’altro, prevede un meccanismo di premialità sul tetto alla spesa sanitaria (con un incremento del 5 per cento rispetto a quanto previsto dalla legislazione vigente) per le regioni in cui si svolgono complessivamente almeno l’80 per cento delle attività di ispezione e controllo esclusivamente mediante personale dipendente.