Il cronoprogramma rimane ambizioso, ma il «sì» pronunciato ieri dalla Conferenza Stato-Regioni è un passaggio decisivo. Perché ha incrociato due esigenze diverse: quella delle Regioni del Nord interessate a evitare l’ennesimo nulla di fatto in un cantiere che va avanti a strappi da più di due anni, e quella dei territori meridionali garantiti dai nuovi meccanismi di perequazione. Tra questi, dovrebbe arrivare anche un primo fondo con una dote iniziale da almeno 3 miliardi in 10 anni che vincolerebbe agli interventi nelle aree svantaggiate una quota di investimenti dei ministeri e delle società pubbliche. La questione riguarda il Sud ma non solo, perché la perequazione funzionerebbe su tre livelli: nazionale, regionale e provinciale. Perché anche in Lombardia, per esempio, le aree interne o montane hanno condizioni diverse rispetto a Milano o Brescia, e lo stesso accade in tutte le Regioni. Nel capitolo sulle aree interne un focus sarà dedicato alla montagna, il cui dossier sarà affidato a Enrico Borghi, deputato Pd ed ex presidente dell’Unione delle Comunità montane (Uncem) che diventa consigliere speciale di Boccia. Un articolo ad hoc, il terzo nelle ultime bozze, è dedicato alla perequazione infrastrutturale.
«È una riforma di tutti, senza colore politico – rimarca Boccia – perché l’autonomia intesa come sussidiarieta è scolpita nella nostra Costituzione da sempre. Così avremo uno Stato più snello e più forte». E nonostante la perequazione fosse stata vista come fumo negli occhi da Lombardia e Veneto, l’urgenza di portare avanti l’autonomia differenziata ottiene il sì anche dei governatori leghisti. Ma «la legge quadro definisce le linee macro – precisa il presidente del Veneto Luca Zaia – dopo di che ogni regione firmerà l’intesa propria, e noi confermeremo la richiesta di 23 materie».
Quello, però, è un problema di domani. Perché il consenso a tutto campo ottenuto in Conferenza permette a Boccia di respingere al mittente le accuse iniziali di essere un nemico dell’autonomia. E soprattutto rimanda nel campo delle Regioni la responsabilità di portare avanti davvero il confronto sui binari tracciati dalla legge quadro. Un risultato non banale, che ha anche un riflesso diretto in Emilia Romagna dove il governatore ricandidato Stefano Bonaccini si è speso parecchio per un’autonomia più morbida rispetto alle proposte lombardo-venete e negoziata con le categorie del territorio.
I compiti chiave della legge quadro che ora tenta l’accelerata finale sono due: fissare il percorso per disegnare i Lep, i «livelli essenziali delle prestazioni» che dovrebbero assicurare il minimo sindacale di servizi pubblici su tutto il territorio, e i fabbisogni standard, cioè il costo efficiente di queste prestazioni di cui andrà garantito il finanziamento. In questo quadro, le competenze trasferite alle regioni saranno accompagnate dal finanziamento in base ai fabbisogni standard. L’incrocio fra questi parametri e i Lep dovrebbe sgombrare il campo dalle polemiche incendiarie su chi ci guadagna e chi ci perde che hanno complicato fin qui il percorso dell’autonomia.
Anche su questo punto l’ambizione non manca al progetto, che prevede di fissare in 12 mesi i Lep di cui si discute senza troppo costrutto dal 2001, quando la riforma del Titolo V avviò l’altalena del federalismo all’italiana. Ma il risultato politico è stato raggiunto. Per quello pratico, bisognerà attendere gli sviluppi.
Fontana (Lombardia): “Condivisione di fondo ma vengono solo ribaditi principi già noti”. VIDEO
Emiliano (Puglia): “Testo mette insieme esigenze del Nord e del Sud”. VIDEO
De Luca (Campania): “Bene impostazione di metodo data da Boccia”. VIDEO