Il comparto sconta però ancora un limite di fondo: a fronte di un numero elevato di riconoscimenti solo pochi brand sono davvero in grado di svolgere un ruolo di mercato. Basti pensare che i primi 15 marchi (dal Parmigiano reggiano al Pecorino romano, dalla Mortadella Bologna alla Mela della Val di Non) realizzano l’88% del fatturato al consumo e addirittura il 95% dell’export. Agli altri 284 insomma poco più che le briciole. Va poi rilevato che una fetta rilevante dello sviluppo degli ultimi anni è dipesa da un aspetto in particolare: Dop e Igp che agli albori erano viste come una leva a disposizione di piccoli produttori agricoli e artigianali, quasi in contrapposizione con le industrie alimentari, hanno messo davvero le ali quando sono state adottate dall’anello industriale della filiera. «Oggi in particolare in settori come la pasta o l’aceto – spiega Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita (che il prossimo 12 dicembre a Roma presenterà insieme a Treccani l’Atlante 2019 dei prodotti Dop e Igp) – molte imprese che in passato andavano sul mercato solo con i brand aziendali hanno sposato la Pasta di Gragnano Igp e l’Aceto Balsamico di Modena Igp dando un importante contributo allo sviluppo di queste denominazioni». «Ancora più eloquente – aggiunge il presidente di Origin Italia (l’associazione che riunisce 66 consorzi di tutela dei prodotti Dop e Igp), Cesare Baldrighi – è la recente decisione di una multinazionale come Coca Cola di mettere in commercio una Fanta all’Arancia rossa di Sicilia Igp. Una frontiera inimmaginabile fino a pochi anni fa».
Un percorso virtuoso che però non ha consentito di superare il difetto della forte concentrazione del valore. Le prime sei Dop (Grana Padano, Parmigiano, Prosciutto di Parma, Aceto balsamico, Mozzarella di bufala e Prosciutto di San Daniele) rappresentano quasi il 70% del fatturato al consumo. «I numeri assoluti dicono molto ma non tutto – aggiunge Rosati – certo non tutti possono ambire a diventare Parmigiano, Grana padano o Prosciutto di Parma ma il loro peso specifico va valutato anche tenendo conto dell’effetto che hanno sui loro territori. La Liquirizia di Calabria ad esempio non arriverà mai a un miliardo di euro di giro d’affari ma in quella Dop si stanno strutturando alcune aziende con progetti di crescita di grande rilievo soprattutto per un’area economicamente depressa del Mezzogiorno. E lo stesso si può dire per il Cioccolato di Modica Igp,che ha ora un fatturato potenziale di 25 milioni di euro».
«L’altro elemento significativo emerso in questi anni – aggiunge Baldrighi – è la grande curiosità che i prodotti Dop e Igp sono riusciti a suscitare nei consumatori stranieri con importanti ricadute sui territori d’origine». Certo resta il nodo della tutela internazionale che al di fuori dei confini Ue vede Dop e Igp esposte a falsi e contraffazioni. «Ma va anche rilevato che con gli accordi internazionali si stanno compiendo passi in avanti – aggiunge Baldrighi -. Troppo spesso riguardo ai negoziati con i paesi esteri ci si concentra solo sulle liste più o meno ampie di prodotti tutelati dagli accordi, dal Ceta col Canada all’Epa col Giappone solo per citarne alcuni. Mentre si sottovaluta che quegli accordi da un lato contengono semplificazioni burocratiche e tagli tariffari non meno importanti della tutela dei marchi Dop mentre, dall’altro, hanno fatto nascere in paesi lontani una prima disciplina sulle denominazioni d’origine e anche questo rappresenta un enorme passo avanti rispetto anche a pochi anni fa».