All’indomani della conferenza stampa tenuta a Goma dall’OMS per comunicare la conferma dei primi due casi di Ebola registrati in città, un gruppo di esperti internazionali, tra i quali Giuseppe Ippolito e colleghi Istituto Nazionale per le Malattie Infettive di ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma pubblicano su BMJ un editoriale nel quale spiegano le ragioni di questa epidemia apparentemente incontrollabile e si appellano ai media perché tengano desta l’attenzione internazionale su questa vicenda
Ricorre in questi giorni il triste anniversario dell’epidemia da virus Ebola che ha sconvolto la Repubblica Democratica del Congo, a partire dalla provincia del Kivu Nord, facendo finora oltre 1.800 morti per un totale di 2.600 casi confermati.
Il 17 luglio scorso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato quest’epidemia una “emergenza di salute pubblica di interesse internazionale (PHEIC, Public Health Emergency of International Concern)”. E’ la quinta volta nella storia dell’OMS (le precedenti 4 PHEIC sono state dichiarate per l’influenza suina del 2009, la polio nel 2014, l’epidemia di Ebola in Africa occidentale nel 2014 e quella da Zika virus nel 2016) che viene fatta una dichiarazione di questa gravità. A dimostrare che l’emergenza non sia affatto finita, né sotto controllo, arriva questa settimana la conferma del secondo caso di Ebola registrato a Goma (il primo risale al 14 luglio scorso). Una conferma seguita dall’annuncio del decesso di entrambi i casi, mentre la moglie e la figlia di una delle vittime mostrano già tutti i segni dell’infezione e rappresentano dunque il terzo e il quarto caso registrato a Goma in una manciata di giorni.
Va anche detto che gli sforzi messi in campo finora da OMS e Africa CDC per controllare l’epidemia sono stati in parte vanificati dai conflitti armati che interessano quest’area e da un coinvolgimento non ottimale della popolazione che non è riuscito a vincere la diffidenza della gente.
Un peccato, perché di certo, rispetto alle epidemie di Ebola del passato, oggi si dispone di migliori misure di prevenzione e di trattamento. un esempio è rappresentato dal vaccino sperimentale VSV-EBOV, sviluppato inizialmente dalla NewLink Genetics e quindi acquisito dalla Merck Sharp & Dohme (MSD). Secondo risultati preliminari (la fonte è l’OMS) il vaccino, già somministrato a 180 mila persone conferisce un elevato livello di protezione, soprattutto quando effettuato secondo il cosiddetto schema ‘ring of vaccination’ (somministrandolo cioè al personale sanitario, ai contatti dei pazienti infetti e ai contatti dei contatti). Sono disponibili inoltre quattro farmaci sperimentali, già somministrati ad un migliaio di persone nell’ambito di trial clinici controllati o per uso compassionevole, dall’inizio dell’epidemia. Si tratta dello ZMapp, del REGN-EB3 e dell’MAb114(tutti cocktail di anticorpi contro il virus); l’ultimo, il Remdesvir, è un anti-virale che contrasta i processi di replicazione del virus.
C’è da sperare che l’aver ricevuto l’etichetta di PHEIC migliori adesso le cose anche sul versante organizzativo; dovrebbe diventare più facile condividere informazioni per valutare in maniera più accurata i rischi e per consentire al comitato d’emergenza di formulare delle raccomandazioni temporanee per gli stati membri; la dichiarazione di PHEIC dovrebbe anche potenziare gli sforzi diplomatici, di sicurezza e di salute pubblica, oltre che attrarre finanziamenti ulteriori da parte degli stati membri delle Nazioni Unite.
In un editoriale pubblicato su BMJ a firma tra gli altri di Giuseppe Ippolito, Chiara Montaldo, Francesco Vairo, Antonino Di Caro dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma e da Gino Strada di Emergency, gli autori denunciano il fatto che la dichiarazione di PHEIC per questa epidemia sia arrivata tardivamente, a causa soprattutto dell’indifferenza politica, ma anche del timore dell’impatto negativo sull’economia, soprattutto nei settori dei viaggi e del commercio. Qualcosa di simile era già successo in occasione della precedente epidemia di Ebola, quella registrata nel 2014-16 nell’Africa occidentale.
Gli esperti hanno dunque accolto favorevolmente la dichiarazione di PHEIC, così a lungo attesa, ma non cantano certo vittoria. Resta infatti da fare i conti con la mancanza di fiducia delle comunità locali nei confronti delle autorità nazionali, dei gruppi d’aiuto, dei Peacekeeper delle Nazioni Unite; una sfiducia frutto di decenni di conflitti armati e di sfruttamento economico. Da gennaio a maggio di quest’anno, ricordano gli autori dell’editoriale, ci sono stati ben 174 attacchi contro le équipe di risposta all’Ebola che hanno fatto 51 feriti e 5 morti. Altri due morti ci sono scappati il giorno dell’individuazione del primo caso a Goma.
Insomma non sarà facile dipanare questa matassa e Ippolito e gli altri si appellano anche a tutta la stampa internazionale perché continui a parlare di questa vicenda, in maniera appropriata ed esaustiva, senza limitarsi a fare titoli cubitali in occasione del contagio di un cittadino occidentale. Anche una buona comunicazione può servire a fare pressione sulle autorità e sulle comunità locali. E a diventare dunque una potente arma anti-Ebola. Al fianco di vaccini e farmaci.
Maria Rita Montebelli QUOTIDIANO SANITA
02 agosto 2019