Quand’è che sulle confezioni di pasta e in tv vedremo la sua faccia, invece di quella di suo padre Giovanni? Nell’immaginario collettivo, il marchio Rana è ancora associato a lui…
Più che su di me, è sulla famiglia Rana nel suo complesso che abbiamo deciso di puntare. Noi la chiamiamo “sinergia generazionale”, un concetto un po’ diverso da quello del passaggio generazionale. In alcuni spot siamo già comparsi come famiglia Rana: mio padre, io, mia moglie, i miei due figli e naturalmente i nostri dipendenti. Perché la nostra idea di famiglia è un concetto inclusivo: ci consideriamo gente che cucina per la gente. Sui sacchetti di pasta che vendiamo in Gran Bretagna la foto di tutta la “famiglia” Rana in senso lato c’è già. In Italia ci arriveremo.
A soli sette anni dal suo sbarco negli Stati Uniti e dalla costruzione dello stabilimento produttivo di Chicago, avete già investito nel raddoppio della capacità produttiva. Quanto pesa l’America nella strategia di Rana?
Gli Stati Uniti sono davvero la terra promessa. Un mercato enorme, che tutte le aziende alimentari italiane dovrebbero sfruttare. In pochi anni, dal nulla, in America siamo arrivati a fatturare 300 milioni di dollari, che è quasi un terzo del fatturato totale dell’azienda. Rana fa prodotti freschi, per noi era impensabile raggiungere il mercato americano spedendoli dal nostro stabilimento di San Giovanni Lupatoto. Costruire una linea produttiva lì è stato necessario. Se oggi la raddoppiamo, è perchè le potenzialità offerte dai consumatori americani sono enormi. Il ritmo di crescita qui è tale che conto di raggiungere un fatturato di 700 milioni di dollari nel giro dei prossimi quattro anni.
Sul mercato italiano oggi Rana fattura meno di 300 milioni. Vuol dire che fra quattro anni la sua azienda sarà più americana che italiana?
Sono troppo legato alla mia terra. Persino mio figlio Giovanni, che è il più americano di tutti noi, appena finita l’universita negli Usa mi ha chiesto di tornare in Italia e ora lavora nel centro innovazione di San Giovanni Lupatoto. Cresciamo molto in America, è vero, ma non abbiamo smesso di crescere anche in Italia, anzi sono stati gli Usa che ci hanno aiutato a crescere anche qui. E poi mi sono informato, le tasse di successione negli Stati Uniti sono troppo alte.
Non è rischioso, scegliere di raddoppiare negli Usa in piena era Trump?
Per Trump siamo un’azienda troppo piccola, siamo fuori dal suo radar. Degli Stati Uniti apprezzo soprattutto la totale assenza di vincoli burocratici. Quando ho deciso di raddoppiare lo stabilimento, ho chiesto al sindaco di Bartlett quali margini potevo avere per rimanere a una debita distanza dalla strada che passa vicino agli impianti. E sa cosa mi ha risposto? Può prendersi tutto lo spazio di cui ha bisogno, al limite saremo noi a spostare più in là la strada. Oggi Rana in America impiega 600 dipendenti, 200 nuovi sono in arrivo e a regime la capacità produttiva del nuovo impianto sarà due volte e mezza quella iniziale e spazierà su nuovi segmenti, per esempio quello dei piatti pronti, non necessariamente a base di pasta. A San Giovanni Lupatoto, invece, mi ci sono voluti sette anni soltanto per ottenere tutti i permessi necessari a costruire il centro innovazione dentro lo stabilimento esistente.
Cosa c’è dentro il centro innovazione di San Giovanni Lupatoto?
È il nostro fiore all’occhiello. È nato due anni fa e dentro ci lavorano una cinquantina di persone, dallo sviluppo nuovi prodotti al marketing, dal packaging alle tecnologie produttive. Il cervello della Rana è tutto qui: qui nascono i nuovi prodotti, anche quelli destinati agli Stati Uniti. La produzione per l’America avviene a Chicago, ma la testa pensante resta italiana. Le linee produttive che abbiamo installato nello stabilimento di Bartlett le abbiamo immaginate e anche costruite a Verona, poi le abbiamo smontate pezzo per pezzo e le abbiamo portate oltreoceano. Nel centro innovazione sperimentiamo almeno una decina di ricette al mese: non è detto che tutte arrivino sugli scaffali e su tutti i mercati, ma l’innovazione continua è la ricetta del nostro successo. Considero il centro innovazione una vera e propria start up e chi lavora qui sa che verrà giudicato sulla base delle idee che ha saputo mettere sul piatto. Gli stipendi del team sono parametrati sulla base dei profitti a quattro anni dei prodotti che hanno inventato: trovo giusto che la capacità di innovare venga adeguatamente premiata.
Suo figlio Giovanni è in partenza per Maranello: cosa c’entra l’automotive con i tortellini?
Alla Rana non inventiamo solo prodotti, ma anche le tecnologie e le macchine con cui realizzarli. Da alcuni anni, per esempio, siamo partner di un grosso produttore di macchinari industriali italiani che soltanto per noi ha sviluppato delle macchine per la pasta ripiena tre volte più veloci di tutte le altre in commercio. Ne abbiamo una cinquantina, nei nostri stabilimenti: mutuano i rulli per la pasta dall’industria della carta, l’inserimento dei componenti dall’industria automobilistica e le pinze per chiudere i tortellini dall’industria delle sigarette. Grazie a loro, dai nostri stabilimenti escono 20mila pezzi al minuto.
Il Sole 24 Ore