Avrò avuto sette forse otto anni, la prima volta che vidi un’insalata di riso. Ero al mare, con la mia grande famiglia ma in formazione ridotta; cioè quella ventina di persone, almeno. Tutti inzeppati nelle vetturette dell’Italia felice degli anni Sessanta. Mio zio se ne era sceso dal nord portandosi dietro la fidanzata di turno da Milano, e io avevo avuto l’onore di occupare gli strapuntini della prestigiosa voiture, una fiammante 850 Sport Coupé, stipato insieme ad altri tre cugini.
Il primo choc fu per me, fresco della storia dei barbari di Attila, il flagello di Dio, già il fatto che la nordica si chiamasse Barbara con le fantasie che quel nome mi suscitava di amori dissoluti e terribili ordalie. Il secondo choc fu vederla in bikini: il primo della mia vita. Per il terzo… dovette arrivare l’ora di pranzo.
Fu allora che, mentre le mie zie, con la rapidità degna d’uno squadrone d’assalto, tirarono fuori dai portabagagli le sedie e i tavolini per la classica tavolata meridionale, esponendovi le immense zuppiere di supplì e peperoni fritti e le tortiere di lasagne e parmigiana, e agnello addirittura, che avevano amorevolmente cucinato svegliandosi all’alba, fu allora, dicevo, che vidi Barbara, da cui non aveva scollato gli occhi per un solo istante, abbassarsi sulla sua sacca da palestra, ben più elegante delle nostre sporte della spesa, e nel tripudio dei suoi seni penzolanti estrarne un piccolo contenitore termico e dunque favorire allo zio… essì, l’insalata di riso!
Tutti i miei parenti lo guardarono schifati — il riso era infatti, per noi meridionali, un cibo per ammalati cronici o, al massimo, convalescenti scampati a terribili interventi chirurgici di cui poi avrebbero parlato per anni; tranne, ovviamente, nella nobile declinazione borbonica del sartù. Ma quello di Barbara, così smorto, con quel trito di insulse verdurine all’aceto, wurstel e svizzero, non era certo un sartù.
Ciononostante non seppi opporle un rifiuto quando, cercando un alleato contro il disprezzo generale, me ne offrì una razione: sapeva, da come la guardavo, da come fissavo quel suo meravilliouso décolleté, che poteva farmi fare qualsiasi cosa. E la feci, ingurgitandomela tutta, quella sbobba — la cucina, e a prescindere dal mio gusto terronico, non era certo tra le sue virtù memorabili! —, mentre tutti gli altri, strafogandosi felici le lasagne d’ordinanza, fissavano adesso me come il più viscido tra i traditori.
Chi mai quel giorno avrebbe detto che, anche noi meridionali, ci saremmo trasformati in mangiatori di riso da spiaggia? La suddetta insalata di riso, come risulta infatti da un’indagine della Coldiretti/Ixe’, è in testa nella classifica dei menu balneari con ben il 28 per cento di estimatori, surclassando le classiche goduriose lasagne (solo al 6 per cento). Segue col 20 per cento la macedonia di frutta, mentre la caprese — quella a base di pomodoro e mozzarella, non certo il favoloso dolce omonimo — è un must per il 18 per cento degli spiaggiati.
Cos’è successo nel frattempo? Evidentemente la svolta salutista si avverte anche in spiaggia. E si mangia con un occhio alla forma fisica — non diversamente, a pensarci, da quello che feci io da fanciullo!
Anche se, dopo avere attraversato la spiaggia verso casa per venir a buttar giù la nota che state leggendo, mi sono imbattuto, sotto i pini fruscianti di Maratea, in un paio di quelle tavolate d’una volta. E quegli odori favolosi — ummm frittata di maccheroni!, polpette e parmigiana (tutti i piatti della tradizione che anche secondo la Coldiretti/Ixe’ tengono bene, con il 7 per cento di consensi) — mi hanno proustianamente scagliato nel tempo passato… ma sarà poi davvero così passato?
Il Corriere della Sera