Era gennaio quando la procura, dopo due anni di complesso lavoro, chiudeva le indagini preliminari sul troncone principale del vasto inquinamento da Pfas e Pfoa addebitato all’azienda chimica Miteni di Trissino. In particolare a tredici indagati a vario titolo per i reati, per l’accusa dolosi, di avvelenamento delle acque e disastro innominato in concorso.
Ora la stessa procura ha chiesto per nove di loro il processo: i quattro manager di ICIG, International Chemical Investors, la tedesco-lussemburghese subentrata fino al fallimento, dichiarato il 9 novembre scorso (il presidente del gruppo Icig Italia, già ad di Miteni, Anthony Brian Mc Glynn, l’ex ad Hendrik Patrick Schnitzer, Hannes Georg Achim Riemann e Nicolass Alexander Smit) e i cinque manager e dipendenti Miteni con delega in materia di ambiente e sicurezza e cioè l’ex ad e direttore operativo Luigi Guarracino, l’ex direttore tecnico, il padovano Mario Fabris, il veneziano Mauro Cognolato e i vicentini Davide Drusian e Mario Mistrorigo.
Per loro verrà fissata udienza davanti al giudice dell’udienza preliminare in autunno e parti civili potrebbero essere il ministero dell’Ambiente e la Regione Veneto. Stralciate, e congelate al momento visti i lunghi tempi di notifica in Giappone, le posizioni dei restanti quattro: Maki Hosoda, Kenji Ito, Naoyuki Kimura e Yuji Suetsune, già presidente del Cda Miteni. Tutti giapponesi ex manager di Mitsubishi Corporation, proprietaria di Miteni Spa fino al 5 febbraio 2009.
Stando al quadro accusatorio gli ex vertici dell’azienda avrebbero inquinato sapendo di farlo, senza prendere contromisure e tantomeno avvisare gli enti preposti, nonostante «l’alterazione anche visiva del sottosuolo» e il continuo «sforamento dei valori tollerati», tanto da chiedere ai consulenti ai quali commissionavano le verifiche ambientali di «rivedere e ridimensionare la portata delle affermazioni». Al punto da vendere l’azienda Miteni – nel 2009, tra le multinazionali Mitsubishi e Icig – al costo di un misero euro, a fronte di un valore di 15 milioni. Questo mentre l’interramento di rifiuti e scarti di lavorazione, le carenti misure adottate per smaltire i residui e la limitata tenuta degli impianti estendevano la contaminazione di tutta l’area industriale alle acque sotterranee e superficiali. Avvelenando la falda di una vasta zona a cavallo tra le province di Vicenza, Verona e Padova, e così migliaia di cittadini.
Corriere del Veneto