Timbrare o non timbrare? Questo è il problema. Se sia più nobile, per il dirigente, sopportare l’ingiusta delibera e l’iniqua circolare, accettando di strisciare il cartellino come tutti gli altri, entrata-e-uscita , oppure rivolgersi al sindacato, prender l’armi e combattere, per poter continuare a fare un po’ come gli pare. Il dilemma è amletico ma la vicenda di scena a Palazzo Balbi, più che il dramma shakespeariano, ricorda la saga di Fantozzi, con i suoi megadirettori galattici, clamorosi, totali e naturali dall’Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani al Dottor Ing. Gran Mascalzon di Gran Croc. Visconte Cobram. «Ci sono dei lati comici – ammettono in una lettera alcuni dipendenti della Regione, furiosi – se non fosse che le prese in giro non piacciono a nessun lavoratore serio, dirigente o dipendente che sia».
Tutto nasce da una nota firmata da Ilaria Bramezza, segretario generale della Programmazione (i cui contenuti sono poi stati ripresi pari pari da una delibera della giunta Zaia), che invita i dirigenti della Regione – sono 165, stando all’ultimo report del settore Personale, con uno stipendio medio di 82 mila euro l’anno – «all’osservanza dell’orario di lavoro articolato almeno su quattro rientri pomeridiani settimanali, al rispetto del minimo di 36 ore settimanali e alla timbratura di ciascuna entrata e uscita dall’ufficio». Insomma, quel che fanno, tutti i giorni, tutti gli altri 2.651 dipendenti regionali. Non solo: nel caso in cui il dirigente si sposti da una sede all’altra dell’ente «per ragioni di servizio», la circolare introduce l’obbligo di chiedere l’autorizzazione e comunque solo a fronte di un valido motivo.
Ma alcuni dirigenti, incalzati dai superiori al rispetto delle nuove regole, non ci stanno e si rivolgono alla Direv, il sindacato di categoria, che scrive col segretario generale del Veneto Maria Patrizia Petralia (anch’essa ex dipendente regionale, era il direttore degli Affari legislativi) una lettera di quattro pagine indirizzata oltre che a Bramezza, al direttore della Programmazione Maurizio Gasparin, al direttore del Personale Franco Botteon e, per conoscenza, al vice governatore Gianluca Forcolin, che ha tra le sue deleghe quella al Personale. Nella lettera si citano vari passaggi del contratto collettivo nazionale e pronunce dell’Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), il cui senso, in sintesi, è: per i dirigenti vige «l’auto-responsabilizzazione», non esiste alcun obbligo di stare in ufficio 36 ore la settimana ed anzi, a dire il vero non esiste proprio alcun limite minimo visto che «il contratto non prevede alcuna quantificazione complessiva dell’orario di lavoro». Per essere chiari: «Al dirigente spetta l’organizzazione complessiva del proprio tempo di lavoro in piena autonomia e responsabilità, in modo da assicurare il completo soddisfacimento dei compiti affidati e degli obiettivi assegnati». Se poi uno ci mette due ore a raggiungerli, mica è colpa sua. Insomma, «l’orario di lavoro del dirigente non può non essere flessibile», anche perché il dirigente «auto-responsabile», a differenza degli altri dipendenti, potrebbe pure dover lavorare «a domicilio» o «in orari serali e festivi». E quindi non si timbra manco per sogno. Non solo: anche dover giustificare se si lascia l’ufficio «per ragioni di servizio» o «per ragioni personali», secondo la Direv, è in contrasto con l’autonomia del dirigente (e la sua «auto-responsabilità»). Quindi, checché ne dica la giunta, neppure si giustifica alcunché, se non per cortesia istituzionale.
Alla lettera ha replicato, con toni durissimi, il direttore del Personale Botteon, che nella sua missiva dice di volersi astenere «da ogni commento sull’immagine che risulta chiaramente dalla nota della Direv, di una componente della dirigenza che ritiene di dover essere soggetta a regole meno severe di quelle che valgono per i subordinati» e poi sottolinea come «la stragrande maggioranza dei dirigenti» dimostri «in concreto con la propria presenza in ufficio, la consapevolezza dell’importanza di dare costantemente il buon esempio». Seguono argomentazioni tecnico-giuridiche che si risolvono in un secco niet a qualunque richiesta di ritiro della circolare o di revisione della delibera e rivendicano il diritto per l’amministrazione di adottare tutte le disposizioni necessarie «ai fini di salvaguardare le prestazioni al cittadino», per chiudere: «Si ritiene che la fiducia reciproca non possa passare attraverso l’abbassamento del rispetto di una soglia minima insuperabile verso il basso di decoro della prestazione lavorativa dirigenziale».
Alla querelle, lontana dall’essere risolta, assistono attoniti tutti gli altri dipendenti della Regione, schierati senza se e senza ma al fianco di Botteon: «Ha ben risposto, speriamo solo mantenga la posizione, anche per rispetto nei nostri confronti. Robe da matti!».
Il Corriere del Veneto