L’italianità del marchio Ferrarini e gli attuali organici – 800 persone tra diretti e indiretti – saranno salvaguardati, perché ci sono due realtà aziendali nostrane (e non concorrenti dirette) pronte a ricapitalizzare la società. È questo il dato certo uscito dalla riunione in Unindustria dei commissari e della famiglia Ferrarini con i sindacati, per fare il punto sul concordato in bianco chiesto la scorsa estate di fronte a una situazione finanziaria diventata insostenibile (oltre 250 milioni di indebitamento) e dopo il no estivo alle offerte arrivate dal fondo QuattroR e da Italmobiliare che ambivano però al controllo totale della società. Ieri è stata la giornata dei rumors, che davano il big cesenate dell’avicoltura Amadori pronto a rilevare e rilanciare Vismara e relativa fabbrica di salumi di Casatenovo di Lecco (dove lavorano, a regime ridotto perché sono in Cigs a rotazione, 400 addetti) mentre il gruppo Pini di Grosotto di Sondrio, leader delle bresaole, sarebbe interessato al ramo Ferrarini, ossia allo stabilimento storico di Rivaltella di Reggio Emilia (300 persone) specializzato nei prosciutti cotti e a quello di Langhirano di Parma (altre 80 persone) dedicato ai prosciutti crudi.
«Il gruppo Amadori è da tempo alla ricerca di possibili investimenti nel mercato dei salumi – è la replica diffusa ieri dal colosso romagnolo dei polli (1,2 miliardi di euro di fatturato consolidato e 7.600 dipendenti) per sedare il rincorrersi di notizie – nell’ambito di una strategia industriale volta all’allargamento del proprio portafoglio prodotti. Vismara, in questo settore, rappresenta uno fra i marchi della salumiera più noti sia in Italia che all’estero. Tuttavia sia Vismara Spa che il suo socio di maggioranza, Ferrarini Spa, sono attualmente in concordato preventivo. Alla luce di ciò, il gruppo Amadori sta analizzando e valutando l’operazione nella sua complessità e potrà formulare un’offerta solo nei tempi e nei termini contemplati dalla procedura». Insomma, una mezza conferma che per diventare realtà dovrà aspettare il prossimo 18 febbraio, data in cui Ferrarini ha riconvocato le controparti sindacali per presentare il piano concordatario sviluppato assieme a Roland Berger, che l’indomani, 19 febbraio, sarà depositato in tribunale a Reggio Emilia.
«La riservatezza di questi incontri aziendali ci vincola a non diffondere nominativi – afferma Marco Bermani, segretario nazionale Flai Cgil – ma siamo stati rassicurati sul fatto che ci sono due controparti industriali italiane pronte a entrare nel capitale che garantiscono non solo la continuità e l’intero perimetro aziendale, ma anche cospicui investimenti. Si parla di un nuovo stabilimento a Reggio Emilia per Ferrarini e di risorse per completare la gamma prodotti e portare a pieno regime la fabbrica 4.0 di Vismara, che oggi lavora a un 40% della potenzialità». Sembra delinearsi inoltre un diverso equilibrio della famiglia Ferrarini all’interno della compagine azionaria, ma non certo una uscita di scena. E si spiegherebbe così anche il prolungarsi dei tempi per presentare piano industriale e finanziario concordatario, atteso per fine dicembre, nonostante il grande interesse per il gruppo anche da parte di imprenditori e fondi stranieri.
Bisognerà aspettare il 18 febbraio anche per avere anticipazioni sul bilancio 2018, ma è assodato è che dal punto di vista operativo il gruppo Ferrarini è in salute (aveva chiuso il 2017 con 335 milioni di fatturato, quasi un 33% in più sull’anno prima) e che la gestione concordataria macina margini positivi, sebbene le banche abbiano completamente chiuso i rubinetti dallo scorso agosto. «È alla Gdo che si deve la liquidità che ha permesso al gruppo, in particolare all’impianto reggiano di prosciutti cotti, di lavorare – precisa il segretario della Flai di Parma, Antonio Gasparelli –. Il sito di Parma sta ripartendo ora, perché il ciclo produttivo del crudo dura almeno 18 mesi e richiede immobilizzazioni che il gruppo fin qui non si poteva permettere, avendo i conti congelati da luglio». Il problema finanziario è pesante e i dipendenti stanno ancora aspettando tre mensilità di stipendio.
Il Sole 24 ORe
Ilaria Visentini